Politica, questione di stile

Eravamo adolescenti, in una città nè troppo piccola, nè troppo grande. Una città del sud, pulita a tratti, arricchita per alcuni, povera allo stesso modo per molti. Andavamo in giro su motorini Sì bordò, verdi, blu. O su una Sfera Piaggio dal colore improbabile. A scoprire e a non riuscire a osservare veramente parti di quella città.

Una città divisa tra fazioni, fazioni non di spessore, ma di stile. O appartenevi ad uno stile, oppure ad un altro. Si sceglieva per vocazione, simpatia, fato o discendenza famigliare. Solo in un caso abbiamo assistito allo sviluppo di una persona che di fasi le ha passate tutte. Stile anarchico, stile salopette, stile femme fatale, stile vita da banca. Gli altri hanno conservato (purtroppo, forse) la loro monotonia della scelta iniziale. Forse oggi qualcuno, insospettabilmente, ha trovato passioni (ma sempre e solo di stile e immagine) in stili e immagini che fino ad allora aveva denigrato. Ma non c’è nulla di reale. Men che mai ci sono personalità.

Volevamo parlare di politica. Leggevamo libri, ascoltavamo canzoni. Ci perdevamo in elucubrazioni mentali. C’era chi osservava, e chi agiva. Chi osservava lo faceva con un misto di orgoglio, timidezza, interesse, scarsa fiducia in sé.

Scartabellavamo tra le canzoni dei nostri Padri, e nostro Padre divenne Fabrizio De Andrè. Raccontava e rapiva, descriveva e denunciava. Semplicemente viveva. E’ forse una delle poche eredità non di stile che ci è rimasta. Un’eredità compresa ben al di là degli stili, che è rimasta mentre altri, più o meno significativamente, sono passati.

Sognavamo di andare via, conquistare il mondo, e molti non avevano ancora la più pallida idea di quello che sarebbero andati a fare. Se si scava bene nella memoria, si ritroverà che raramente ci siamo detti “Da grande farò”. Non lo sappiamo, in realtà, neanche ora che siamo grandi.

Quello che sappiamo è che non parliamo più di politica. Esce, si insinua, nel suo aspetto romantico, ogni tanto, durante una cena, tra un bicchiere di vino e una sigaretta. E’ bello, e irreale. Perchè Lei non c’è più, e forse noi non l’abbiamo mai conosciuta davvero.

Tutto quello che ci rimane è sotto i nostri occhi. Si chiama Patrizia D’addario, il letto grande di Putin, Silvio Berlusconi, Dario Franceschini, Beppe Grillo (ma non era un comico?) e le sue sortite, le primarie del Pd, Debora Serracchiani che ha come base YouTube, le veline, Noemi Letizia, Walter Veltroni che va in giro con George Clooney (ammettiamolo, questa è invidia), una campagna elettrale fatta a colpi di gossip, colpi di gossip che non servono assolutamente a nulla, dimissioni (queste sconosciute), rinnovamento (questo tabù), ministri e ministre che nel loro passato hanno tutto, tranne la politica (e che sono complicate da intervistare), candidati ed eletti che nel loro passato, presente e futuro hanno tutto, tranne la politica, Fausto Bertinotti perduto, Gianfranco Fini in disgrazia (almeno da determinati punti di vista), Giorgio Napolitano che firma, non firma, chissà. Tanto alla fine firma. La Costituzione. Cene con i magistrati, il lodo Alfano, le intercettazioni e una stampa che vorremmo difendere, ma che fa di tutto per essere indifendibile. Sicuramente la lista potrebbe andare avanti ancora a lungo.

E le nostre giornate passate su Facebook.

Questione di stile, insomma.

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