Peppino Impastato, un eroe moderno

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Trent’anni e un giorno fa, il 9 maggio 1978, veniva ritrovato il cadavere del presidente Moro nella ormai celebre Renault 4 rossa, in via Caetani. Dopo due mesi di “processo del popolo”, l’allora presidente della Democrazia Cristiana veniva condannato a morte dalle Brigate Rosse. Come allora, ancora oggi non sono poche le ombre che avvolgono quel rapimento e la sua uccisione. Le lettere scritte da Moro nel carcere del popolo, le ricerche dei covi brigatisti, prima e dopo il ritrovamento del cadavere, il ruolo dei servizi americani durante la crisi, il silenzio della politica. Sono solo alcuni degli aspetti di una faccenda che è entrata a pieno titolo, e da subito, nell’alveo dei grandi misteri italiani. E sì che ce ne sono parecchi. Ma questa è un’altra storia.


Su molte prime pagine dei giornali del 9 maggio 1978 – ma non tutte – faceva poi capolino la notizia di un altro fatto di cronaca nera. A Cinisi, in provincia di Agrigento, veniva trovato ucciso, dilaniato da una carica di tritolo sui binari della ferrovia, Giuseppe Impastato. Per gli amici Peppino. Esempio insuperato di impegno civile nella lotta alla mafia, Peppino aveva esagerato. E lo misero a tacere. Per chi ha visto il film, I cento passi di Marco Tullio Giordana, il nome e la storia del personaggio non risulteranno nuovi ma c’è qualcosa, della storia di Peppino, che nè il film nè i media che ne hanno nei mesi seguenti cavalcato l’audience, sono riusciti a descrivere efficacemente.


E che forse ci consente di aggiungere un ulteriore tassello nel tentativo di ricostruzione della memoria su come eravamo trent’anni fa. E com’era l’Italia. Il tassello mancante è rappresentato del silenzio, lo stesso che ha soffocato la voglia di verità di due famiglie, quella del presidente Moro e quella di Peppino.


Peppino Impastato, nasce il 5 gennaio 1948 da una famiglia legata alla cosca di Gaetano Badalamenti, reuccio di Cinisi prima e capo incontrastato della Cupola siciliana dal 70 in poi. Quando ancora è un ragazzo rompe con il padre, che lo caccia via di casa, e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino L’Idea socialista e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati.


Impastato utilizzò lo humor e la satira come arma contro la Mafia. Nella sua famosa trasmissione radio Onda Pazza derise sia politici sia mafiosi. Quotidianamente denunciava i crimini e gli affari dei mafiosi di “Mafiopoli” (Cinisi) e le attività di “Tano Seduto”, soprannome ironico e dispregiativo dato a Gaetano Badalamenti. Per questo venne “suicidato”. Sì, suicidato, perchè fin dal ritrovamento del corpo di Peppino di questo parlavano stampa, forze dell’ordine, magistratura. Suicidato nel tentativo di piazzare dell’esplosivo, nell’ambito della preparazione di un attentato. Il clima in un Italia dilaniata dalle bombe del terrorismo rosso, nero e direi bianco era quello ideale. Coprire quella marachella dei referenti politici della DC nell’isola non fu difficile. Il silenzio, arma efficacissima e devastante, diventò nuovamente protagonista.


Ma la vera lotta alla mafia ebbe inizio proprio da quello “strano suicidio”. Nel 1984, cinque anni dopo l’omicidio, e su spinta della famiglia, gli amici e dei compagni di militanza di Democrazia Proletaria che avevano chiesto la riapertura dell’inchiesta e alla luce di nuovi elementi, viene riconosciuta la matrice mafiosa del delitto, pur senza l’individuazione dei responsabili. La sentenza è firmata da Antonio Caponnetto. Il “pool” è nato. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe di Lello, Antonio Caponnetto, Leonardo Guarnotta. La lotta alla mafia era appena cominciata, e la sentenza, che ruppe il muro di silenzio e di bugie sulla fine di Peppino, era il primo raggio di sole della prima vera primavera siciliana.


Dieci anni dopo la prima sentenza che ristabiliva la natura dell’omicidio una nuova riapertura dell’inchiesta, ancora fortemente voluta dalla famiglia di Impastato, mandava sul banco degli imputati Gaetano Badalamenti e Vito Palazzolo come mandanti del delitto. Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo. Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.


Peppino Impastato è stato ucciso dalla mafia e dallo stato nella notte tra l’8 ed il 9 maggio 1978, in piena campagna elettorale per il rinnovo dell’amministrazione comunale di Cinisi, in cui Peppino era candidato con la lista Democrazia Proletaria. Nelle elezioni comunali del 14 maggio del 1978 Peppino fu eletto consigliere comunale con 260 voti e la lista Democrazia Proletaria conseguì il 6%: fu la prima volta che gli elettori votarono un morto.


Per lo stato un terrorista, per i suoi concittadini già un eroe.


6 commenti su “Peppino Impastato, un eroe moderno”

  1. complimenti per l’articolo, davvero… si parla poco dei giovani che si sacrificarono contro la mafia. Le voci fuori dal coro ci sono sempre state, forse a molti fa piacere credere che tutta l’erba sia un fascio… la storia di Peppino Im pastato non va dimenticata, è un esempio di ribellione allo status mafioso…

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