Legge 309 del 28 febbraio 2006, ovvero la Fini-Giovanardi sulle droghe

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La legge Fini-Giovanardi si inserisce in una discussione, ormai decennale, centrata sul sanzionare o no il consumo personale di sostanze stupefacenti illegali. Discussione che vede contrapposti, nel caso specifico delle sostanze cosiddette leggere – cannabis e marjuana – gli antiproibizionisti, convinti assertori dello slogan “giusto o sbagliato non può essere reato” e i proibizionisti, che nel contrasto alla droga applicano la “tolleranza zero”.


La legislazione italiana in materia distingue, sin dal Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza del 1990, due “categorie di reati”, a seconda che si prefiguri la detenzione ai fini di uso personale o di spaccio. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un reato amministrativo, mentre nella seconda ipotesi sconfiniamo nel penale. Fin qui tutto chiaro, o quasi.


E’ risultato infatti poco chiaro, al legislatore del 2006, quale fosse il limite tra le due situazioni, così come poco chiaro dev’essere apparsa agli estensori della legge, la differenza esistente tra le varie sostanze illegali. La fretta è cattiva consigliera. Gli stessi metodi adottati per l’approvazione del decreto, senza alcun reale dibattito parlamentare, manifestano la volontà della maggioranza dell’epoca – che nel frattempo è tornata ad essere tale – una certa fretta.


Cosa dice quindi in soldoni la legge Fini-Giovanardi?


La legge 309 del 28 febbraio 2006, meglio conosciuta come Fini-Giovanardi dal nome dei primi due firmatari della legge, approvata a colpi di fiducia all’interno del decreto per le Olimpiadi invernali di Torino (!), oltrechè nel metodo, contiene alcuni passaggi quantomeno dubbi anche sotto il profilo del merito.


La legge si caratterizza per l’inasprimento delle sanzioni relative alle condotte di produzione, traffico,detenzione illecita ed uso di sostanze stupefacenti, e per la contestuale abolizione di ogni distinzione tra droghe leggere, quali la cannabis, e droghe pesanti, quali eroina o cocaina. Particolarmente contestata è la già menzionata confusione generata dalle nuove “tabelle” che dovrebbero dettare i limiti tra consumo e spaccio.


Detto chiaramente che se avessero potuto – per loro stessa ammissione – tale differenza Fini e Giovanardi l’avrebbero ignorata, non è stato possibile invece ignorare i risultati del Referendum popolare del 18-19 aprile 1993 in cui si sancì la non punibilità dei consumatori. La scelta di basare le famigerate tabelle non già sulla quantità di sostanza posseduta ma del solo principio attivo presente in percentuale non ha fatto altro che complicare le cose.


E’ inutile nascondere che, aldilà della necessità di una legge chiara e moderna che affronti il problema della droga e degli interessi criminali che proliferano attorno al fenomeno, la stragrande maggioranza delle polemiche sorte all’indomani dell’approvazione del decreto è di natura ideologica.


Ma è pur vero che le nuove disposizioni hanno significativamente cambiato le cose sotto molti aspetti. Sembrano infatti affievolirsi, depotenziarsi i servizi di riduzione del danno ed i programmi terapeutici comunque previsti dalla legge. O meglio, con la parificazione degli enti privati ai tradizionali SERT, ed il conseguente provvedimento per l’incentivazione dei primi (leggi meno soldi al pubblico per finanziare l’iniziativa privata), anche la cura, dopo la prevenzione e la riduzione del danno entrano nell’alveo dei servizi “commerciabili” da associazioni ed enti non pubblici.


Manifestando in qualche modo l’incompetenza su tali dinamiche il governo sembra avere abbandonato la filosofia del recupero sociale dell’individuo da parte dello stato. Anzi, forse la nuova legge si contrappone addirittura, ai servizi di riduzione del danno. Servizi che, seppur non rappresentano una soluzione alla problematica della tossicodipendenza, per lo meno non criminalizzano consumatori e tossicodipendenti. Mentre la nuova legge sembra fare esattamente l’opposto.


A prescindere dalle quantità definite nelle tabelle, l’intento sembra quello di penalizzare, impaurire e reprimere i giovani consumatori di sostanze stupefacenti. Questa è la risposta che viene data a disagi che sono l’esatta conseguenza delle contraddizioni di questa società in decadenza. E non potrebbe essere altrimenti, visto che fare un’analisi complessa della situazione giovanile, con tutti i suoi problemi, significherebbe fare un’analisi dell’intera società capitalista.


Ed il risultato non sarebbe proprio, diciamo così, stupefacente.

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