Eluana, l’esercito dei rei confessi

Eluana Englaro è morta. Mentre noi siamo rimasti qui, con le nostre drammatiche, ridicole, mortali e italiane beghe. Eluana è morta, e morendo ufficialmente ieri ha preso tutti in contropiede. In 48 ore volevano fare una legge che non sono riusciti a produrre in 12 anni. In 48 ore si voleva dare una svolta alla spinosa faccenda del testamento biologico, resa ancora più spinosa dal fatto che questo non è un paese normale. Resa ancora più spinosa dalle immancabili direttive della Chiesa.

Resa ancora più spinosa dall’ondata di emotività. E dal fatto che la vicenda clinica di questa ragazza ha distratto noi tutti da ciò che sta accadendo in altre sedi. Momento che Giorgio Napolitano definisce oggi di turbamento nazionale. Per il quale serve una riflessione comune. Interviene, il presidente della Repubblica, dopo che lo scontro politico è arrivato al suo culmine inimmaginabile. Dopo che sono volate parole come assassini, l’avete ammazzata. Dopo che il Capo dello Stato è stato accusato ieri – inutile usare eufemismi – apertamente in Senato dal capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri di avere una responsabilità nella morte di Eluana, per la firma mancata sul decreto legge del governo.

Lo abbiamo riportato ieri e lo ripetiamo: le parole di Gasparri non lasciano molto all’immaginazione:

In questa vicenda peseranno le firme messe e quelle non messe

Lo stesso Gasparri oggi si scusa, a modo suo:

Non ho offeso nessuno. Se le istituzioni si ritengono offese, me ne scuso

Della serie: non si ammette fino all’ultimo. Tornano alla mente le parole di Silvio Berlusconi, che in tutta la vicenda Englaro, e ricondandosi di muoversi (con decreto di necessità e urgenza) SOLO 5 mesi dopo quella sentenza che di fatto permetteva a Beppino Englaro di lasciare andare sua figlia. Cosa ha impedito al Governo di intervenire 5 mesi fa? Il Presidente del Consiglio ha contrapposto, per tutta la durata della caduta di questo caso, il partito della vita, quello della conservazione, quello che voleva il decreto, al partito della morte. E in quel partito non c’è solo il PD.

Il dramma collettivo che abbiamo vissuto poteva essere evitato. E’ vero: Beppino Englaro sa e sapeva a che cosa avrebbe portato la sua lotta. Forse non lo immaginava del tutto. Forse non pensava – certo, sua figlia non poteva saperlo, e in fondo neanche lui, se non altro perché quanto accaduto a livello di caso politico e in melodramma istituzionale è andato ben oltre qualsiasi plausibile immaginazione – che Eluana avrebbe voluto dire tutto questo.

In molti si sono domandati, volgarizzando, perché Beppino Englaro non abbia fatto come molti altri. Portare a casa il malato, e in privato decidere. Perché ciò accade. Ma se Beppino Englaro non avesse fatto quel che ha fatto, noi non saremmo qui a parlare di testamento biologico.

Marco Cattaneo è un fisico che fa il giornalista. Le sue parole vengono riportate oggi da Net Monitor di Repubblica. Ieri ha scritto, tra l’altro, questo:

Sa, signor ministro, non molto più tardi di un anno fa, nelle ultime dolorose settimane della sua esistenza, mio padre, malato terminale di cancro al pancreas con metastasi al fegato aveva una pancia così gonfia che un giorno sì e un giorno no i sanitari intervenivano con la paracentesi per eliminare i liquidi organici che andavano accumulandosi nell’addome.

Nei suoi ultimi giorni – uomo di un metro e ottanta ridotto a un sacco di pelle e ossa di nemmeno cinquanta chili – non aveva più la forza di alzarsi da solo dal letto. Io gli facevo visita, lo sollevavo, lo imboccavo perché portare un braccio alla bocca era una fatica troppo dura.

Il giorno prima di spegnersi, signor ministro Sacconi, mio padre non ha più voluto nemmeno l’omogeneizzato. Sì, signor ministro, l’omogeneizzato. Perché era ormai il solo alimento che riusciva a farsi strada in quel che restava del suo stomaco. Ma gli faceva troppo male, la pancia, per pensare di aggiungere altro peso, altra sofferenza. Ha allontatato la bocca dal cucchiaio con un gesto di disgusto, e mi ha chiesto di fargli la barba. Come suo padre aveva fatto con lui trent’anni prima.

E io? Io ho deposto il vasetto, signor ministro, consapevole che mio padre non si sarebbe alimentato. Ho preparato la crema (ridicolo no? Forse era l’ultimo a farsi la barba con il tubetto e il pennello) mescolandola pazientemente con l’acqua e ho cambiato la lametta al rasoio. Poi, in pochi interminabili minuti, ho fatto la cosa più difficile di tutta la mia vita.

Ecco, vede, ministro Sacconi? Ho sospeso l’alimentazione a un soggetto non in grado di provvedere a se stesso, e senza nemmeno il conforto di un parere medico. Ancora non ha approvato la sua legge e ha già il primo reo confesso. Ma adesso si dia pace, signor ministro. E ci pensi, se è il caso di negare a un individuo la libertà di rifiutare l’alimentazione, quello che per una persona sana è il più ordinario dei gesti ma per un malato terminale può diventare un’atroce tortura.

Io mi costituisco, signor ministro. Ma lei si sieda, respiri profondamente, ripensi alla sua battaglia. Riposo, soldato Sacconi

Anche lui, come molti altri, ha affidato alla rete il proprio testamento biologico. Alla rete gli italiani affidano la propria libertà.

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