Intercettazioni telefoniche. Le verità nascoste (dai media)

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Altra copia cortesia e altra corsa. Continua imperterrita la campagna stampa de Il Tempo contro le intercettazioni telefoniche in mano ai pm. Siamo tutti spiati. Ma quando mai…
I numeri fatti in prima pagina dal quotidiano romano vengono amplificati dai tiggì che ormai da giorni ci assediano con le dichiarazioni dei portavoce dei pochi partiti rimasti in parlamento. I panini farciti dai direttori però non sono un granchè, e a qualcuno potrebbe essere rimasto un certo languorino.
Il problema è che troppo spesso questi benedetti panini sono vuoti, privi di companatico. I pochi rimasti a tavola – insaziabili – vorrebbero questo, i fatti e non le dichiarazioni del portavoce di turno che ripete come un pappagallino quello che gli è stato ordinato di diffondere. Dati che ci aiutino a comprendere la portata del problema, farci capire, visto che di mezzo ci andiamo tutti in definitiva.
Sono state dette molte cose in materia di intercettazioni telefoniche. Pubblicarle è lecito, e fino a che punto? Vietarle del tutto sarebbe meglio, che dite? Quel che si è capito con chiarezza è che larghissime parti dell’attuale esecutivo non le vorrebbero affatto, mentre la Lega spinge per l’allargamento ai reati dei corruzione e concussione. Il governo clone, pardon ombra, è per la non pubblicazione mentre Di Pietro è per il potenziamento del mezzo in favore degli organi inquirenti, Udc non pervenuta.
Colossali bugie però sono state diffuse dai politici in questione in queste ultime ore, e ciò non aiuta affatto a farsi un’idea sull’argomento. Andiamo per gradi.

Limitare le intercettazioni telefoniche. Cui prodest?

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Ieri mattina uscendo di casa la mia attenzione, benchè ancora intorpidita dal sonno, è stata rapita da un particolare inedito per l’androne dello stabile in cui vivo attualmente. Sotto le cassette della posta, una pila di quotidiani caldi di stampa. Una cinquantina di copie del quotidiano nazionale Il Tempo giacevano lì per i condomini. Duecento metri risparmiati, passo più passo meno, per sapere cosa succede intorno a noi. Il fascino della copia cortesia – leggasi omaggio – fa il resto e se qualcuno tra i miei condomini ha avuto la tentazione di prendere quella copia e poco tempo per informarsi, beh il gioco è fatto.
Il gioco di cui parlo si chiama disinformazione. Il quotidiano romano in questione – liberissimo di dire ciò che vuole naturalmente – titola come raffigurato dall’immagine qui sopra. Vogliono continuare a spiarci. La comunicazione politica, si sa, ha le sue regole ma su questioni tanto delicate occorrerebbe a mio avviso maggiore cautela. Ma soprattutto sarebbe necessaria più chiarezza. La polemica forse è strumentale – come alcuni esponenti della stessa maggioranza hanno lasciato intendere sostenendo che la decisione in materia verrà presa dal parlamento – ma dà la possibilità di porsi alcune domande.
Negli ultimi due anni numerose sono state le pubblicazioni che i giornali hanno messo a disposizione dei lettori, delle intercettazioni telefoniche che avevano per protagonisti personaggi del mondo della televisione, della finanza, della politica. La non rilevanza penale fu la clava per demolire – politicamente parlando – la pubblicazione delle intercettazioni sui giornali per questioni di privacy. Era l’epoca del Prodi II, ed in piena bufera Why not pensammo di avere toccato il fondo. Ci sbagliavamo.

Rassegna Critica – Vengo dopo il Tiggì. Ilaria Alpi

Ilaria Alpi. Riaperta l’inchiesta. Sono passati SOLO 14 anni.
20 MARZO 1994 – A Mogadiscio, un commando somalo uccide Ilaria Alpi, inviata del Tg3 Rai, e l’operatore Miran Hrovatin, in Somalia per seguire la guerra tra fazioni che stava insanguinando il Paese africano e le operazioni militari lanciate dagli Usa con il nome di “Restor Hope”, con l’appoggio di numerose nazioni alleate, compresa l’Italia, per porre fine alla guerra interna e ristabilire un minimo di legalità nel disastroso scenario somalo. Qui, tutta la cronologia della vicenda sull’Osservatorio sull’informazione – Ilaria Alpi. Il 7 giugno, ore 21 Palazzo del Turismo di Riccione, c’è stata la premiazione dei vincitori della XIV edizione del Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi.

Riprovevole Tangentopoli

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Si è tornato a parlare negli ultimi giorni del celebre tentativo di depenalizzare il reato di finanziamento pubblico ai partiti durante la bufera Tangentopoli, il decreto Conso, divenuto famoso come il colpo di spugna. Pochi giorni fa appariva sul Corriere della Sera un’intervista di Aldo Cazzullo a Giuliano Amato in cui il dottor sottile, così chiamato per l’esilità della sua figura ma soprattutto per la riconosciuta perspicacia, annunciava il ritiro dalla politica, l’ennesimo.
Senonchè, stuzzicato sull’argomento Tangentopoli dal giornalista del Corriere, l’ex premier dell’epoca si scopre, e sentendo già l’aria del buen retiro, spara a zero. Usando un termine inequivocabile: riprovevole. Da uno stralcio dell’intervista.
– Era il decreto Conso, che Scalfaro non firmò.
Non lo firmò dopo il pronunciamento della procura di Milano. Fu un episodio riprovevole il veto di un gruppo di magistrati a una disposizione legislativa.
Le cose però non andarono esattamente così. Brevemente, i fatti.

De Magistris, i tiggì e le sviste arbitrarie

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Tra un orsetto Knut – non me ne vorrà il simpatico plantigrado – e due calci al pallone in terra elvetica qualcuno ha dimenticato di dare questa notizia:
(ANSA) – CATANZARO, 4 GIU – La Procura della Repubblica di Salerno ha chiesto l’archiviazione per il pm di Catanzaro Luigi De Magistris. La richiesta è stata avanzata nell’ambito di una inchiesta avviata dopo le denunce di magistrati ed altre persone coinvolte in alcune indagini. Nei confronti di De Magistris si ipotizzavano i reati di calunnia, abuso d’ufficio e rivelazione del segreto d’ufficio relative alle inchieste Poseidone, Why Not e Toghe Lucane. Nella richiesta di archiviazione i magistrati di Salerno sostengono l’insussistenza di illegittimita’ sostanziali o procedurali penalmente rilevanti ovvero di condotte abusive addebitabili nell’esercizio delle funzioni giudiziarie di De Magistris. Nell’inchiesta della Procura di Salerno, coordinata dal Procuratore, Luigi Apicella, e dal sostituto Gabriella Nuzzi, sarebbe emersa anche la correttezza formale e sostanziale degli atti procedimentali compiuti dal magistrato di Catanzaro. Nel provvedimento i magistrati di Salerno fanno riferimento inoltre ad interferenze subite da De Magistris da parte dei vertici della Procura di Catanzaro.
E adesso come la mettiamo?

Intercettazioni? No, grazie

Questo a esemplificativa presenza. Era in quel di Santa Margherita Ligure che tornò in auge quella parola. Davanti alla platea di imprenditori, davanti al proprio pubblico naturale? Ecco il punto, annunciato da tempo, esplicitato oggi: il divieto di ordinare ed eseguire intercettazioni, anche nell’ambito di indagini giudiziarie.
Ah, no. Poi Silvio Berlusconi ha la bontà d’animo di specificare che verranno escluse dal provvedimento solo le inchieste che riguardano la criminalità organizzata, la mafia, la camorra e il terrorismo. C’è un libro, ora anche un film, che probabilmente dal tanto parlare che se ne è fatto dalla nascita ad oggi, passando – verrebbe, forse, da chiedersi: purtroppo? – anche per Cannes, che su quelle intercettazioni (quelle ESCLUSE dal provvedimento) si basa: è Gomorra. Che cita e richiama a ritmo di musica le intercettazioni della Direzione Distrettuale Antimafia. Temo per loro, libro, film e autore, il boomerang della popolarità e del circuito. Ma quella è un’altra storia. QUESTA storia, quella di oggi, parla di intercettazioni. E intercettazioni NON siano.

Italia: paese di santi, poeti e navigatori…e clandestini(?)

Il tema della sicurezza e quindi dell’immigrazione e della clandestinità è l’argomento che ha accompagnato la vita politica del nostro governo durante quest’ultima settimana e sarà anche ciò di cui si tratterà in futuro.

L’attuale situazione nazionale è veramente critica. Ci ritroviamo troppo spesso ad avere paura, fortunatamente solo in alcune condizioni particolari, addirittura ad uscire di casa. Una situazione che è a mio modo di vedere inaccettabile e improponibile per un paese sviluppato quale è l’Italia.

Una problematica, quella sulla clandestinità, che non colpisce la sola Italia, ma i maggiori paesi europei e che ha costretto la UE ad attivare delle misure preventive più rigide affinchè ogni cittadino possa sentirsi più sicuro in casa propria, ovvero il paese in cui vive.

Giorgio Almirante e la toponomastica revisionista

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Pochi giorni fa il calendario registrava l’ennesimo anniversario triste della pur breve storia repubblicana del nostro paese. Ventisei anni e qualche giorno fa la strage di Peteano (nella foto il luogo dell’attentato).
Il 31 maggio 1972 qualcuno chiama il 112 di Gradisca d’ Isonzo (Gorizia): “C’è una 500 abbandonata con due fori di pallottole in località Peteano”. E’ una trappola. Una pattuglia esce a controllare quella macchina. Uno dei militari apre il cofano e scoppia una bomba. Muoiono tre carabinieri, altri due restano gravemente feriti. La voce al telefono è di Carlo Cicuttini. Cittadino spagnolo, Cicuttini si rifugia a Madrid fino all’aprile del 1998, quando la procura di Venezia gli tende un tranello facendogli offrire un lavoro a Tolosa, in Francia. Lui si presenta e finisce in manette, 26 anni dopo Peteano.
Diversa la sorte dell’altro colpevole della strage, Vincenzo Vinciguerra, reo confesso dopo essere stato incastrato dalle rivelazioni di un altro terrorista nero, Giovanni Ventura. Erano gli anni della strategia della tensione, e parecchie sono ancora oggi le zone grigie in cui è possibile, spesso verosimile, a volte certo, ipotizzare una sordida contiguità tra i servizi e le organizzazioni terroristiche dell’epoca. Il fantasma del colpo di stato ha lambito il nostro paese in più di un’occasione in quegli anni. Gli anni di piombo.
E cercando ulteriori informazioni in giro per il web mi sono imbattuto in alcuni approfondimenti sulla strage, diciamo così, a mio avviso emblematici del meccanismo di distorsione delle notizie attualmente adottato dal mainstream.

A proposito del reato di clandestinità

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Con una dichiarazione ufficiale alla stampa estera riunita nella conferenza stampa congiunta con il presidente francese Nicholas Sarkozy, Berlusconi fa l’ennesima retromarcia sul cosiddetto pacchetto sicurezza. Dopo gli annunci seguiti alle promesse elettorali e l’appoggio silenzioso al partito della xenofobia, il Cavaliere ha parlato ieri di clandestinità come “aggravante” e non già come reato a sé stante.
Come era prevedibile, dopo lo scorporo – diciamo così – della spinosa questione dal decreto legge emanato nel primo Consiglio dei ministri, e la decisione di trattare la materia in un disegno di legge separato, i giuristi del Popolo delle libertà hanno gettato la spugna. Il reato di clandestinità non s’ha da fare. Bene, bravi, bis. Incerti del mestiere. Questa cosa dell’emergenza sicurezza funziona, altrochè se funziona devono avere detto dalle parti di Arcore. Si sono fatti prendere la mano. E una boutade di pura propaganda elettorale è diventata qualcosa di più grosso. Una sorta di esperimento di viral marketing sfuggito al controllo di chi lo ha partorito.
Sull’ipotesi di istituire il reato di clandestinità, tanto caro alla Lega, si erano pronunciati tutti. Onu, Unione Europea, capi di stato e ministri dell’Interno di mezza Europa. Il coro unanime di no, come sempre, sembrava non aver turbato il manovratore italiano che ha continuato a spargere sale sulla ferita emergenza sicurezza – da lui stessa aperta a mio avviso – fino al dietrofront di cui sopra. Ma aldilà della ragioni della politica, spesso incomprensibili a chi sta fuori dal Palazzo, vi sono le ragioni giuridiche ad abbattere qualsivoglia progetto di legge in materia di clandestinità.
Il procuratore aggiunto di Torino, Bruno Tinti, ha illustrato analiticamente alcuni passaggi essenziali del disegno di legge per dimostrare cosa succederebbe nella prassi se fosse introdotto nel nostro codice penale il reato di clandestinità.

Gomorra, kalashnikov e pentiti

Michele Orsi, imprenditore. E’ stato ucciso sabato in un agguato a Casal di Principe. Due le ipotesi: ha pagato con la vita uno sgarro a una fazione dei Casalesi, contrapposta a quella di Francesco Bidognetti. Oppure è morto perchè ha parlato e poteva parlare.

Non era un pentito, ma avevamo chiesto protezione

dice il suo legale. Orsi era stato accusato di avere favorito il clan dei Casalesi. Aveva parlato con la giustizia, rivelando responsabilità dei vertici dell’organizzazione, in particolare della fazione ritenuta capeggiata da Bidognetti.

La cronaca dei fatti è nota. I sicari hanno riservato a Orsi anche un colpo di grazia alla testa.

Manganelli…senza potere

Con un cognome così era ovvio che sarebbe diventato un portatore di giustizia. Infatti il capo della polizia Manganelli ha voluto affermare, tramite un articolo di denuncia, le difficoltà che le forze dell’ordine oggi hanno contro i clandestini.

La situazione è a dir poco drammatica. Le forze dell’ordine sono attualmente in grado di prendere e catturare i vari clandestini che, per un motivo o per l’altro, vengono arrestati anche solo a causa della loro “non regolarità”.

Il fatto è che più dell’80% di loro vengono perdonati sul campo, ovvero gli viene consegnato un foglio di via che sostanzialmente può essere facilmente buttato nel cestino dietro l’angolo. Le parole di denuncia di Manganelli sono facilmente riassumibili con i numeri di questo estratto:

Dal 1 gennaio ad oggi, le forze dell’ordine hanno fermato oltre 10.500 clandestini per i quali hanno ritenuto di avviare le procedure di espulsione. Solo 2.400 di costoro hanno trovato posto nei centri di permanenza; gli altri ottomila hanno di fatto ottenuto un perdono sul campo e gli è stato consegnato un foglio di via, che equivale a un niente.

Lo scoop del Pigneto e la società alla deriva

Stamattina mi sono svegliata (anvedi). Mancando da tre giorni il caffè a casa – e rifiutandosi caparbiamente la sottoscritta di andare da quei ladri del supermercato sotto casa, ma attendendo piuttosto tempi migliori (semplicemente, del tempo) per andare al discount un po’ più lontano ed ergo illudersi di risparmiare – mi sono recata piuttosto al bar per assumere della caffeina (dimostrando per l’ennesima volta a me stessa di essere l’antitesi di una qualsiasi logica economica di base. Pace).
Ivi, al bar (o bare, in cadenza locale), come mia consuetudine ho sbirciato il giornale sorseggiando la sostanza di cui sopra. La Repubblica, ndr. Annoiata, debbo ammettere, ndr. E i rifiuti, e Bertolaso, e il Salva Rete 4, e il Governo Ombra (e continuarsi a chiedere ma perchèèèèèèèè? è frustrante, in fondo), e l’emergenza sicurezza, e la Sapienza, fascisti sì, fascisti no, fascisti ma dove, comunisti sì, comunisti no, comunisti ma dove.
E invece no. Per una volta no. Per una volta, c’era la variante sul tema. C’era lo scoop. Il Pigneto va a La Repubblica.

Sapienza, la verità non si arresta!

Si riceve e si pubblica comunicazione inoltrata via mail alle maggiori testate da Rete per l’’autoformazione Sapienza, Roma.

Sono ore convulse, dove poco è il tempo per scrivere, ma molto è il tempo che serve per raccontare.
Per raccontare in primo luogo la verità sui fatti accaduti la mattina di ieri (meercoledì 27, ndr), la verità sulla violenza
subita, la verità sociale e politica che continua a tenere lontani neofascisti e squadristi
dall’università la Sapienza

Roma, 30 anni dopo

Nuove tensioni politiche in quel di Roma. Il Pigneto è già quasi storia. Mentre stamane Roma è ripiombata in racconti e parole di tanti anni fa.
Scontri in via Cesare De Lollis, davanti all’Università La Sapienza. Scontri? Dati da, ebbene sì, così si è detto e così sono convinti gli stessi protagonisti, tensioni politiche.

Stavamo attaccando i nostri manifesti dopo che per tutta la notte Forza Nuova ha attacco i suoi davanti all’università, e all’improvviso sono arrivati i fascisti. Un nostro compagno è stato accoltellato e altri si sono ritrovati con la testa spaccata

Questa la versione dei Collettivi di sinistra. La rissa, durata una decina di minuti, ha coinvolto una ventina di militanti antifascisti e un gruppo di ragazzi di estrema destra.