Aldo Moro e Vittorio Zucconi. Storia di un vissuto



Io c’ero, a via Fani. Anni dopo, i brigatisti mi dissero: Noi cercavamo di colpire al cuore lo Stato Italiano, ma scoprimmo… che non ha un cuore

30 anni fa le Brigate Rosse uccidevano Aldo Moro. L’Italia lo ha ricordato ieri. Più o meno.


Oltre 100 faldoni di documenti, corrispondenti a circa 62 mila pagine, della Commissione stragi – filone Moro sono consultabili in Rete grazie al progetto Commissioni d’inchiesta on-line curato dall’Archivio storico di Palazzo Madama.


Cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri e presidente del partito della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Non l’avessero ucciso, era in forte odor di Presidenza della Repubblica. Un’altra storia, per l’Italia. Chissà come sarebbe l’Italia.

Scorta sterminata, il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo guidato da Giulio Andreotti. Il cadavere venne ritrovato drammaticamente – su indicazione delle Brigate Rosse – il 9 maggio successivo. La sua vita politica è stata indissolubilmente – e drammaticamente – legata al compromesso storico di Enrico Berlinguer e alla creazione di un governo di “solidarietà nazionale”, nel quale rientrasse anche il Partito Comunista Italiano.


55 giorni che cambiarono l’Italia. Il ritrovamento nella Renault 4 a Roma, in via Caetani. A metà strada tra la sede nazionale della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista Italiano. E’ una storia nota, sono 30 anni che l’Italia ormai se la ripete, perfettamente cosciente di non ripetere la verità.


Io nel ’78 non ero nata.

Vergogna. Si vergogni

Mi dice ridendo Vittorio Zucconi, da Washington, corrispondente per gli States de La Repubblica e direttore di Repubblica.it e di Radio Capital. Mentre lo intervisto, sento il dovere, quasi la giustificazione necessaria, di dover spiegare lui che io non posso capire. E forse è un alibi, il mio. Ma la sensazione è questa, e provo a spiegare al buon Zucconi il nobile alibi. Per quanto uno si sforzi. Per quanto uno provi a conoscere. Non avrò mai, nella mia formazione mentale, nell’atmosfera in cui ognuno cresce, il vissuto di quei giorni.


E allora me lo faccio raccontare da chi c’era. Consapevole della fragilità del mio ascolto.

Io c’ero, a via Fani

racconta Vittorio Zucconi

e ricordo benissimo i morti per strada

Soprattutto ricordo gli agenti della Celere in assetto da guerra, furiosi con noi giornalisti. ‘E’ tutta colpa vostra, scribacchini di merda’, ci dicevano. Ricordo la frase come se fosse ieri. Perchè c’era l’idea che noi giornalisti fossimo troppo teneri con i terroristi. Che fossimo tutti a sinistra

Scribacchini di merda. Ritenuti, in qualche modo, responsabili.

Conoscevo bene Moro. Ero amico personale del maresciallo Leonardi, che andava in giro con lui tutte le mattine


Oreste Leonardi, maresciallo dei CC, era alla guida della Fiat 130 di Moro, il 16 Marzo 1978, giorno del rapimento. E’ morto, a Via Fani, insieme alla guardia di PS Raffaele Iozzino, l’appuntato dei CC Domenico Ricci, la guardia di PS Giulio Rivera e il vice-brigadiere di PS Francesco Zizzi.


Per la prima volta al Quirinale si è celebrato oggi il Giorno della memoria, istituito con la legge numero 56 del 4 maggio 2007, per ricordare tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopo aver unito nel ricordo tutti militari italiani caduti nell’adempimento del loro dovere.

Sono certo che anche al loro sacrificio si rivolgerà pubblico omaggio in questa giornata

Napolitano ha citato le vittime di Ustica, della Uno bianca, della mafia e della criminalità organizzata. E si è interrotto tre volte nel corso del suo discorso, per via della commozione.


30 anni dopo, non è che nel mondo ci sia una particolare emozione, o attenzione, al ricordo. Moro è stata una figura mai capita, nel mondo

In Italia, mi viene da dire a Zucconi, mi sembra, dall’alto della mia vita cominciata nel 1980, giusto il dovuto, per questo anniversario. Il dovuto per qualcosa di rimosso. Lontano.


30 anni fa, nel mondo – prosegue il racconto del giornalista – lo scalpore fu colossale.

In nessuna Nazione del mondo cosiddetto civile era mai accaduto niente di simile. C’erano stati assassini politici, ma l’assassinio politico si consuma in sè, come atto – Kennedy, ad esempio, non molti anni prima. Ma un rapimento della più importante personalità politica del Paese, quello no. Quindi, ci fu la sensazione che quella fosse la fine dell’Italia, la fine della democrazia italiana

Della Very Italian People, vien quasi da dire. Perchè tutta italiana, scopro dalle parole di Zucconi, fu la reazione, anche immediata (come tutto italiano mi sembra essere il dovuto delle appena trascorse celebrazioni).

Ricordo benissimo che con i colleghi stranieri – io ero già tornato dall’estero, già stato in America quando avvenne il caso Moro – mi dicevano: ‘domattina qui c’è il colpo di Stato, con i carri armati in Piazza Venezia, in Piazza del Popolo, Piazza del Gesù… Ci fu lo sbalordimento di vedere come il Paese aveva saputo reagire. Reagire in senso positivo, e anche in senso molto italiano: la vita, alla fine, in Italia era ripresa

Zucconi mi narra della sua casa nel quartiere Monti. Mi sembra di vederlo, 30 anni fa.

Vivevo a poca distanza da Via Caetani. Andavo a piedi alla sede de La Stampa, che allora era in Largo Chigi, e avevo preso casa nel Quartiere Monti. La sera del delitto Moro, dopo aver trascorso ore e ore a correre come delle palline da ping pong tra via Fani, la Questura, il Viminale, feci il pezzo in Largo Chigi e andai a piedi a casa – erano circa le 11 di sera. Ebbi paura. Cosa che non ho normalmente, non essendo evidentemente una bella ragazza in minigonna in piena notte. E dissi a mia moglie: ‘domattina succede un disastro’. Roma era assolutamente deserta

Niente carri armati, e niente disastro plateale, invece.


La sera dopo, Zucconi rientra a casa alla stessa ora. Medesimo tragitto: Via del Corso, Piazza Venezia, Fori Imperiali.

Ed era tutto assolutamente come prima. La gente era fuori, i ragazzi si sbaciucchiavano per la strada. Tornai a casa e dissi a mia moglie – poveretta, è quella che sopporta le mie elucubrazioni mentali: ‘Hanno perso. Forse Moro morirà. Ma loro hanno perso’. E, infatti, avevano perso


Tento di capire, e nelle mie domande mi sento ingenua. C’era la coscienza che quello sarebbe stato l’epilogo?

In un modo o nell’altro si sapeva. Perchè o il sistema italiano, politico e istituzionale, collassava (perchè marcio), oppure no

Del cortese racconto di Zucconi, una frase mi ha colpita in particolare. Una frase che suona come una grande verità dettata dal vissuto, come un qualcosa da me mai veramente verificabile, come un assioma la cui verità sembra essere grande.

E quello che mi dissero anni dopo i brigatisti, racconta Zucconi, gente della mia generazione, alcuni avevano fatto la mia università… eravamo lo stesso ‘brodo’, diciamo – era: Noi cercavamo di colpire al cuore lo Stato Italiano, ma scoprimmo… che non ha un cuore

Qual era il cuore dello Stato? Cos’era, e dove andava? Perchè appare così vero anche a me, che non esistesse? È stato compagno di scuola di Walter Tobagi, Vittorio Zucconi. Alla mia generazione, a tutte quelle successive, manca la sofferenza di quegli anni. Ne abbiamo altre. Di cui vergognarci per altre ragioni. La sensazionee di chi scrive è che siano ragioni in qualche modo meno forti. Per alcuni versi, meno dignitose.


Mio padre era all’epoca deputato DC. Conosceva Moro, era nei suoi gruppi. Veniva a piedi, tutte le sere, dalle riunioni a Palazzo del Gesù, con i vari Zaccagnini, Scelba, De Mita… Prodi. Veniva a piedi, da solo. E io gli dicevo ‘Tu sei scemo’. Ma a lui non importava. Voleva venire per stare un’ora con i suoi nipotini – i miei figli – e mi diceva: altrimenti divento pazzo. A stare in mezzo a quella gente

Mi diceva che effettivamente nessuno sapeva cosa fare. Scrivevo, io, gli articoli per La Stampa. La sera veniva mio padre, mi chiedeva di leggere quello che avevo scritto – quando già era stato mandato in macchina, e mi diceva: ‘Sono tutte cazzate’. E allora gli domandavo: ‘Dimmi tu quelle vere’. Sentendomi rispondere: ‘Non te le posso dire’. Insomma, avevo la certezza di scrivere le notizie, quelle che circolavano. Lui sapeva la verità, ma non me la poteva dire. Fu un periodo un po’ difficile

Dei 30 dalla morte di Moro, Zucconi conferma quella che è la mia sensazione al di là della Storia. Il dovuto.

Vedrà il dovuto, vedrà molti ricordi personali – come, purtroppo, ho fatto io con lei… Anche perchè è tragicamente una storia che si è consumata


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