Riesumata la salma del bandito Giuliano. Difficoltà per l’ esame del DNA – FOTO

Foto: AP/LaPresse

I magistrati di Palermo, guidati dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, hanno ordinato la riesumazione della salma dello storico bandito Salvatore Giuliano, che si trova nel cimitero di Montelepre, piccolo paese del Palermitano. In particolare, i giudici, che hanno aperto un‘ indagine per omicidio e sostituzione di cadavere, vogliono verificare se il corpo sepolto è proprio quello di Giuliano, dopo le denunce presentate nei mesi scorsi da storici, giornalisti e da un medico legale. Il sospetto è che si tratti di un sosia, messo apposta  per consentire al vero bandito, ricercato dai carabinieri, di scappare e lasciare l’ Italia. Sulle ossa della salma riesumata, secondo gli investigatori, ci sarebbero fori compatibili con colpi di arma da fuoco, anche se ancora non si può stabilire con certezza se siano gli stessi della foto del cadavere di Giuliano. Inoltre, il procuratore Ingroia afferma di non aver ancora disposto l’ esame del DNA, perchè non c’ è la certezza che si possa fare, anche se il cadavere, “considerando il tempo trascorso, è in buone condizioni”.

La figura del bandito Giuliano risulta a tutt’ oggi, a sessant’ anni dalla morte, assai discussa. Cominciò la sua latitanza nel 1943, a 21 anni, quando, fermato ad un posto di blocco mentre portava due sacchi di frumento, gli vennero sequestrati il cavallo e il frumento, e, quando tentò di allontanarsi, prima i carabinieri gli sparararono sei colpi di moschetto, poi lui reagì, uccidendone uno, e da allora, si nascose fra le montagne di Montelepre. Vennero poi arrestati il padre, che era emigrato negli Stati Uniti, e altri familiari, accusati di proteggerlo, e quando, nel 1944, riuscì a liberarli, costituì con alcuni di loro la famosa banda di Salvatore Giuliano, dedita a furti, traffici illeciti e sequestri di persone.

E’ morto Francesco Cossiga

A 82 anni appena compiuti, si è spento a Roma, in un letto del Policlinico Agostino Gemelli, Francesco Cossiga il quale, con pochi altri al suo pari, può permettersi di incarnare la storia politica italiana degli ultimi sessant’anni. Vedi il sardo (nasce a Sassari il 26 luglio 1928) ed è come se scorressero in sequenza i principali avvenimenti che hanno contribuito a costruire il bagaglio della Penisola. Basti elencare i titoli che potrebbero etichettarlo (anche se le etichette, ai grandi personaggi, vanno in ogni caso strette): politico, giurista e docente italiano, politologo, scrittore, ottavo presidente della Repubblica, senatore a vita, presidente emerito della Repubblica Italiana, ministro degli Interni, presidente del Consiglio, sottosegretario e via dicendo.

Maturità a 17 anni, a venti era già laureato in Giurisprudenza e poi intraprese la carriera universitaria (con cattedra di diritto costituzionale dell’Università di Sassari). La passione politica divenne presto la prima occupazione: riuscì a bruciare tutte le tappe – a 17 anni la prima tessera nelle file della Democrazia Cristiana, a trent’anni capo dei cosiddetti giovani turchi sassaresi, eletto deputato nel 1958, il più giovane sottosegretario alla difesa nel terzo governo Moro (23 febbraio 1966), il più giovane ministro degli Interni (a 48 anni), il più giovane presidente del Senato (a 55 anni) e il più giovane Presidente della Repubblica (a 57 anni, 1985) – e gli toccò essere riferimento importante in più di una circostanza cruciale: era Ministro degli Interni durante i violenti scontri tra studenti e forze dell’ordine nella zona universitaria di Bologna.

Restarono negli annali come le proteste del ’77: venne ucciso il militante di Lotta continua Pierfrancesco Lorusso e la militante di sinistra romana Giorgiana Masi; Cossiga, al fine di sedare la rivolta studentesca, inviò nel capoluogo emiliano carri armati M113: gli studenti cominciarono a storpiarne il nome, scritto con una kappa iniziale ed usando la doppia esse delle SS naziste. Ancora al Viminale l’anno successivo, quello impresso sui libri per il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse: Cossiga creò due comitati di crisi per gestire il rapimento e rassegnò le dimissioni non appena il segretario Dc venne rinvenuto senza vita. Dirà successivamente ai giornali: Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro“.

Addio a Mike Bongiorno

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Addio a Mike Bongiorno. Voleva diventare Senatore a vita. E Silvio Berlusconi si era attivato per realizzare questo suo grande sogno. Se ne va. Aveva 85 anni. Un infarto lo ha stroncato nella sua casa a Montecarlo, dove stava trascorrendo le vacanza. L’uomo dell’indimenticabile Allegria. Con Fiorello aveva conosciuto una seconda giovinezza televisiva. La notizia è subito arrivata in Italia.

Stava per sbarcare sulla tv digitale, su Sky, dopo aver “fatto nascere” l’analogica sin dal 1954. Ha condotto 11 Sanremo. Ne parlano tutti, con toni più o meno sinceri. Lui aveva “acceso” la tv in Italia. Era la storia e un simbolo, e simpatico e antipatico che fosse, era in qualche modo a tutti caro.

Gaber: Qualcuno era comunista

“Uh? No, non è vero, io non ho niente da rimproverarmi. Voglio dire non mi sembra di aver fatto delle cose gravi.
La mia vita? Una vita normale. Non ho mai rubato, neanche in casa da piccolo, non ho ammazzato nessuno figuriamoci, qualche atto impuro ma è normale no?
Lavoro, la famiglia, pago le tasse. Non mi sembra di avere delle colpe, non vado neanche a caccia.
Uh? Ah, voi parlavate di prima. Ah ma prima, ma prima mi sono comportato come tutti.
Come mi vestivo? Mi vestivo, mi vestivo come ora… beh non proprio come ora, un po’ più… sì jeans, maglione, l’eskimo. Perché, non va bene? Era comodo.
Cosa cantavo? Questa poi, volete sapere cosa contavo. Ma sì certo, anche canzoni popolari, sì…”Ciao bella ciao”. Devo parlar più forte? Sì, “Ciao, bella, ciao” l’ho cantata d’accordo e anche l’Internazionale, però in coro eh, in coro.
Sì, quello sì, lo ammetto, sì, ci sono andato, sì, li ho visto anch’io gli intillimanni, però non ho pianto.
Come? Se in camera ho delle foto? Che discorsi, certo, le foto dei miei genitori, mia moglie, mia…
Manifesti? Non mi pare. Forse uno, piccolo però, piccolino: “Che Ghevara”. Ma che cos’è un processo questo qui?
No, no, no, io quello no, il pugno non l’ho mai fatto, il pugno no, mai. Beh insomma una volta ma… un pugnettino rapido proprio…
Come? Se ero comunista? Eh. Mi piacciono le domande dirette. Volete sapere se ero comunista? No, no finalmente perché adesso non ne parla più nessuno, tutti fanno finta di niente e invece è giusto chiarirle queste cose, una volta per tutte, ohhh.

Se ero comunista? Mah? In che senso? No voglio dire…

Buon compleanno Andreotti. Che avvisa: “Non sono mica ancora morto”

Giulio Andreotti ha compiuto 90 anni. Il Divo ha seppellito molti tra coloro che volevano seppellirlo. La Stampa fa una bella ricostruzione multimediale della sua lunga vita.

Andreotti è nato a Roma il 14 gennaio 1919. Afferma tranquillamente di non pentirsi di nulla. In più, spera nel Paradiso e in una proroga sulla Terra già che si trova… E avverte: Grazie, grazie a tutti per gli auguri, ma mi celebrate come se fossi già morto e non ne ho alcuna intenzione al momento. Anche perché, siamo certi, la sua parte è ancora così fresca, attiva e reattiva nella vita politica italiana

De Andrè, terrorista e poeta

Terrorista e poeta. L’11 gennaio 1999 Fabrizio De Andrè è morto. Sono passati 10 anni.

É in rapporto di amicizia con tale De André Fabrizio, non meglio generalizzato, ligure, universitario a Milano, filo cinese, noto cantautore e contestatore

Si tratta di una relazione inviata il 20 dicembre 1969 alla Direzione generale della PS. Qui l’articolo de L’Espresso.

De André era tanto altro. Oggi, qualcuno scrive che è stato poeta tanto quanto lo è Vasco Rossi. Lascio a voi le dovute riflessioni – io potrei non essere politically correct, e certo non contro Vasco.

In memoria di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone


“La nascita della seconda Repubblica sul sangue di Falcone e Borsellino”


Palermo – Palazzo Steri – Piazza Marina
Venerdì 18 luglio 2008 ore 20,30


Interverranno:


Salvatore Borsellino


Luigi De Magistris


Roberto Scarpinato


Antonio Ingroia


Giuseppe Lumia


Giorgio Bongiovanni


Radio Radicale ha deciso di registrare integralmente l’audio e il video del nostro convegno del 18 luglio a Palazzo Steri, orientativamente un paio di giorni dopo sia l’audio che il video saranno scaricabili sul sito di Radio Radicale www.radioradicale.it cliccando la sezione “audio-video”. Anche l’emittente televisiva Telejato registrerà il tutto mandandolo poi in onda sulla propria tv e sul sito www.telejato.it.


Capaci, 16 anni dopo. Per mantenere viva la memoria

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“Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”
Giovanni Falcone
Non è consentito ridurre il livello di attenzione. Queste le parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a sedici anni dalla strage di Capaci. Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo perdevano la vita uccisi dalla mafia. Mantenere viva la memoria dicevamo. Proviamoci.
L’anno è il 1989. Nel clima di restaurazione che si respirava al Palazzo di Giustizia di Palermo all’epoca, Giovanni Falcone era un uomo solo. Le insinuazioni del Corvo – l’anonimo estensore di lettere avvelenate sul giudice e i suoi metodi investigativi che circolavano nelle stanze del palazzo – sono all’ordine del giorno.
Il 20 giugno di quell’anno, tre anni prima di morire, Falcone si diede appuntamento presso il suo villino al mare con due colleghi svizzeri, venuti a trovarlo in Sicilia per un indagine sul riciclaggio internazionale di denaro sporco. Quella mattina un uomo della scorta del giudice, forse per un eccesso di zelo, operò un’ulteriore bonifica della zona antistante al villino trovando tra i massi un carico di esplosivo al plastico.

“Spingendo la notte più in là” per non dimenticare Calabresi

Calabresi. Un cognome importante, pesante, che si porta sulle proprie spalle una storia, una lotta, un significato di ribellione a tutto ciò che è terrorismo. A tutto ciò che è violenza ingiustificata.

E andato infatti in scena, alla Fiera del Libro di Torino, il nuovo libro di Mario Calabresi dal titolo “Spingendo la notte più in là”. L’opera di Calabresi è un documento autobiografico che riprende la sua vita e non solo, come anche indica il sottotitolo “Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”

Il terrorismo di cui parla Calabresi non è quello che oggi vediamo di carattere religioso che, fortunatamente, ci riguarda solo di striscio, che è “lontano” da noi, seppur ci ha colpito nei tragici eventi in Medio Oriente, tra cui il più noto è l’indimenticabile Nassyria. Il terrorismo di cui parla l’autore è quello politico, è quello degli opposti estremi, che negli anni 70-80 hanno dilaniato il nostro paese.

Legge 180 del 13 maggio 1978, ovvero la legge Basaglia

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Le legge 180, meglio nota con la definizione di legge Basaglia dal nome del suo ideatore, è un’importante legge quadro che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori il titolo della legge, la 180 rappresenta una vera e propria conquista di civiltà, giunta al termine di quel percorso di rivisitazione della società italiana e dei suoi meccanismi sociali e politici cominciata con i movimenti del 68.
Le intenzioni della legge 180 erano quelle di ridurre le terapie farmacologiche ed il contenimento fisico, instaurando rapporti umani rinnovati con il personale e la società, riconoscendo appieno i diritti e la necessità di una vita di qualità dei pazienti, seguiti e curati da ambulatori territoriali. Ma sono la vita e le opere di Franco Basaglia a descrivere meglio di qualsiasi trattazione medico scientifica la ratio del provvedimento, rivoluzionario sotto l’aspetto medico e culturale.
Così come l’azione di Maria Montessori era riuscita a cambiare per sempre i metodi pedagogici e la concezione stessa dell’insegnamento ai bambini molti anni prima, lo stesso risultato si può affermare che venne raggiunto dagli studi psichiatrici del professor Basaglia. Niente dopo di lui fu più uguale a prima nella trattazione delle problematiche del disagio mentale. O quasi. Perchè la legislazione regionale, molto eterogenea in materia, ha reso negli anni l’attuazione del dettato della 180 quantomeno altalenante.
Ma in definitiva, cosa ha fatto di così straordinario Franco Basaglia ed in cosa consiste il pensiero ispiratore della legge 180? Scopriamolo insieme.

Aldo Moro e Vittorio Zucconi. Storia di un vissuto

Io c’ero, a via Fani. Anni dopo, i brigatisti mi dissero: Noi cercavamo di colpire al cuore lo Stato Italiano, ma scoprimmo… che non ha un cuore

30 anni fa le Brigate Rosse uccidevano Aldo Moro. L’Italia lo ha ricordato ieri. Più o meno.

Oltre 100 faldoni di documenti, corrispondenti a circa 62 mila pagine, della Commissione stragi – filone Moro sono consultabili in Rete grazie al progetto Commissioni d’inchiesta on-line curato dall’Archivio storico di Palazzo Madama.
Cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri e presidente del partito della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Non l’avessero ucciso, era in forte odor di Presidenza della Repubblica. Un’altra storia, per l’Italia. Chissà come sarebbe l’Italia.

9 maggio 1978: L’Italia si ferma, muore Aldo Moro

Sono passati 30 anni da quel clamoroso 9 maggio 1978. Una giornata che divenne tristemente importante per la storia dell’Italia. Infatti è proprio oggi che, esattamente 30 anni fa, a Roma viene ritrovato in via Caetani il corpo senza vita di Aldo Moro.

Sarà capitato a tutti vedere quelle immagini in cui si vede la ormai famosa renault 4 rossa, parcheggiata appunto in via Caetani, con all’interno il presidente della DC senza vita. Un agonia, quella con epilogo il 9 maggio, iniziata 55 giorni prima con il rapimento da parte delle BR in via Fani, sempre a Roma.

Una storia quella di Moro in questi 55 giorni, travagliata di sofferenza ma soprattutto di misteri. Tanti e troppe cose ancora non sono state definite chiaramente e hanno gettato ombre su quello che, molto probabilmente, era un rapimento risolvibile con il rilascio e non con l’assassinio.

Hanno rapito Aldo Moro

16 marzo 1978. Sono passati 30 anni. Un eccidio e un sequestro. Che dopo 55 giorni arriverà a sua volta ad una fine terribile. La fine. I 55 giorni che cambiarono per sempre l’Italia. Che ormai era già cambiata. Via Fani, Zona residenziale di Roma, vicino a Via della Camilluccia. E’ presto, è mattino. I corpi degli agenti che facevano parte della scorta dell’Onorevole Moro. Carabinieri. 4 morti e un ferito. Morirà anche lui. E Aldo Moro scomparso, rapito.
Era il giorno della presentazione del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti. La vettura che trasportava Aldo Moro dall’abitazione alla Camera dei Deputati fu intercettata in via Fani da un commando delle Brigate Rosse.
In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i terroristi uccisero i due carabinieri a bordo dell’auto di Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti sull’auto di scorta (Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana. Come siano riusciti a non uccidere solo lui è un mistero. Rimase ferito – e la ferita mai curata. Ma vivo, perchè vivo dovevano averlo.