Poor Hillary. Aspettando il Texas, l’Ohio e McCain al varco


Hillary Obama


Comincia a diventare quasi imbarazzante. Obama ha vinto di nuovo. Hillary è sconvolta. E si interroga e si arrovella.


Il bello, giovane e di colore ha, di nuovo, riportato un risultato di tutto rispetto. Nettamente, precisamente, direttamente e certo con non poco clamore. Con numeri che fanno riflettere. Obama ha stravinto anche nel Potomac. La zona si appella in cotanta buffa maniera dal nome del fiume che la attraversa. E corrisponde a pesanti e strategici bacini di elettorato: Virginia, Maryland e il Distretto di Columbia dove c’è la capitale Washington.


I numeri, a occhio e croce, affondano la senatrice: a Washington ha portato a casa un magro 24%, mentre in Virginia il 36. Soprattutto in quest’ultimo Stato, i suoi pronostici erano ben differenti. Testa a testa, sperava supponeva e calcolava. Negli ultimi 7 – e non sono pochi – Stati in cui si è votato negli ultimi giorni, Obama non solo ha stravinto, ma ha lasciato Hillary a bocca asciutta. Barack in vantaggio, con tanto di maggioranza con i 168 delegati di ieri.

Il cambiamento è corso lungo il Potomac ed è arrivato anche nel cuore di Washington. Questo il commento del senatore. Che non ha mancato di commentare lo scontro Bush-McCain: una guerra che deve solo finire. John McCain è un eroe americano e rispettiamo quello che ha fatto per il suo Paese, ma le sue politiche non sono quelle di cui l’America ha bisogno e la guerra di Bush-Cheney come i tagli fiscali ai ricchi che lui sostiene saranno al centro del voto di Novembre.


Molti elementi hanno giocato, e bene, pro-Obama: il 60 % della popolazione di Washington è afroamericano. Ha portato a casa il consenso del 90% degli elettori neri. Ha conquistato metà dei bianchi e la maggioranza delle donne. Non solo. Anche giovani e anziani hanno votato per lui. La trasversalità del consenso è stata totale. E fa tremare gli avversari.


Obama sta ammiccando, con un certo successo, all’elettorato che è lo zoccolo duro della Clinton: ci sta provando, insomma, anche con gli ispanici. Con discreti risultati, e la consapevolezza del cambiamento, dato ceh, ad oggi, non lo avevano mai votato. Hillart è rocambolescamente rotolata anche in Virginia, dove le previsioni dei suoi la davano in resistenza.


La vera sfida, forse anche per dimenticare le attuali magagne, è al 4 marzo: chiamata al voto per i popolosissimi Texas e Ohio. Popolosissimi, e costosi per entrambi i democratici. Dovrà vincerli largamente entrambi, altrimenti la sua campagna sarà finita. Commento amaro e condito da un po’ di sana paura di perdere, nello tsunami, il posto, al New York Times di uno dei fedelissimi.


E la senatrice che fa? Si appiglia all’oggettivo e all’appigliabile. Evita accuratamente di parlare di sconfitte (chi? quando? quali? cosa?) è ha sottolineato – messaggio affatto subliminale – la necessità di un presidente che conosca già il lavoro e da subito sia pronto a reggere la nazione. Lei, quindi, non certo il meno espero Barack, che non è neppure stato certamente first lady.


La sfida però gusta, e a livello di ricadute sulla partecipazione, ci vorrebbe qualcosa di analogo anche in Italia – ma appare utopia. I democratici sono in piena suspence, e volentieri si sono sorbiti lunghe code ai seggi, peraltro al freddo e al gelo.


E i repubblicani? Certo, qui la soap è meno avvincente. Almeno per noi italiani. John McCain è sempre nettamente in testa . In Virginia, Mike Huckabee gli ha dato vaghi fastidi. Secondo un’analisi del voto fatta dalla Cnn, tra i cristiani evangelici e i conservatori Huckabee prende il doppio dei voti di McCain. Ma, al di là di questo tradimento, l’ala repubblicana di questa corsa alle presidenziali, insomma, è meno avvincente.


All’Italia piace molto Obama. Fosse per i nostri giornali, blog, siti, agenzie, avrebbe già vinto e stravinto. Come fotografia dell’America di questi tempi, non è delle più corrette. Il Time, nel gennaio 2007, aveva rivelato che, per familiarità, McCain batte tutti di fronte all’opinione pubblica. Ha dalla sua anche la stampa, bisogna dire. Così come c’è da ammettere che, da sempre, ha saputo usarla.


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