Il blocco delle strade: la moda del momento

Una volta si scendeva in piazza senza grandi media che ti supportavano nella dura lotta a far sentire la propria voce. Quando i potenti non fingevano di fare i sordi, lo facevano e basta.

Oggi anche la minima manifestazione è divenuta uno spettacolo. I cortei organizzati, anche i più piccoli con poche persone al seguito, sono sempre seguiti da almeno una telecamera che da risalto alla notizia, a volte “spettacolarizzandola” più del dovuto.

Vista la spettacolarizzazione anche le proteste si sono dovute adeguare. Così dopo le mucche portate dalla Coldiretti direttamente davanti al governo, è arrivata la moda di protestare con camion e affini per rallentare il traffico di tutti i giorni, ultimo caso in Spagna e Francia nemmeno tanti giorni fa.

A questo punto non mi resta che chiedervi: Secondo voi è giusto bloccare le strade e intralciare chi lavora per fare sentire la propria voce?

Intervista a Francesco Cossiga

francesco cossiga
Sull’eventualità di proseguire per la via della ratifica del Trattato, Francesco Cossiga non transige e pone il suo altolà. Il presidente emerito della Repubblica italiana commenta la bocciatura al testo da parte degli irlandesi e indica le due strade che l’Unione europa dovrà scegliere per proseguire lungo il cammino. Con un trattato ormai «morto», è arrivato il momento di disegnare l’Europa per il popolo e non per i burocrati. Ma l’Italia, spiega il senatore a vita, difficilmente potrà avere un ruolo di
primissimo piano:

La storia è la storia. Non saremo mai la Francia, né la Germania, né la Gran Bretagna e rischiamo di non essere nemmeno la Spagna

E non è un caso se dal divano della sua abitazione romana, Cossiga continua a ricordare le parole del suo caro amico Helmut Schmidt. L’ex cancelliere della Repubblica federale tedesca gli spiegò, capendo però l’invidia italiana, che nel Vecchio Continente l’asse è da sempre franco-tedesco. Presidente Cossiga, come giudica la bocciatura irlandese al Trattato di Lisbona?

Vedo dalle reazioni al voto negativo dell’Irlanda al Trattato che molti in questa valutazione non sanno separare le ragioni giuridiche da quelle politiche e sentimentali. Voglio chiarire una cosa, prima di tutto: quanto è stato detto dal primo ministro britannico Gordon Brown, cioè che il Trattato è morto, è assolutamente vero. Perché il trattato, per entrare in vigore, avrebbe bisogno del voto di tutti i Paesi. Quindi coloro i quali annunciano che bisognerebbe andare avanti con la ratifica, commettono un errore giuridico: non si può ratificare qualcosa che è morto

Cosa si può fare?

Se questa deve essere la strada si può pensare di impegnare i governi europei, quelli che ci stanno, a sottoscrivere subito lo stesso Trattato. Potremmo pensare a un atto di adesione al testo. Ma, ripeto, l’idea generosa di qualcuno che vuole andare avanti con le ratifiche non ha senso. Io rispetto molto il presidente della Repubblica e il presidente del Senato, ma i buoni sentimenti sono una cosa e il diritto costituzionale internazionale un’altra. Ho parlato con il ministro degli Esteri poco fa e ho detto che bisognerebbe organizzare un grande dibattito politico e votare anche una mozione in cui si danno delle indicazioni precise su cosa si deve fare. Ma soprattutto bisogna che gli italiani, e tutti gli altri popoli, abbiano un’idea dell’Europa che vogliono

Perché si è arrivati alla bocciatura del testo da parte del popolo irlandese?

Teniamo presente che l’Irlanda ha ottenuto soltanto nel 1922, dopo la pasqua di sangue, l’indipendenza e il riconoscimento della sua identità celtico. Non può rinunciare alla sua identità senza sapere a cosa va incontro

Perché aleggia diffidenza attorno al progetto?

Perché i cittadini vedono l’Europa sempre più come l’Europa dei burocrati. Guardiamo, e badi bene che io non sono leghista, a quello che ha detto Tommaso Padoa Schioppa (“non sono testi che si sottopongono al veto degli elettori”). Se si trattasse di accordi tecnici lo capirei, ma sono accordi coi quali rinunziamo a parti molto importanti della nostra sovranità

8 anni per scrivere le motivazioni di una sentenza. Troppo lento

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Ansa – Roma 16 giugno 2008 – Non può più fare il magistrato Edi Pinatto, il giudice che ha impiegato otto anni per scrivere le motivazioni della sentenza con la quale il tribunale di Gela aveva condannato sette componenti del clan Madonia a complessivi 90 anni di carcere, così determinando la loro scarcerazione. La sezione disciplinare del Csm con un provvedimento che ha pochi precedenti lo ha rimosso dall’ordine giudiziario. La decisione è stata presa dopo un’ora di camera di consiglio. La sezione disciplinare ha così accolto la richiesta del rappresentante dell’accusa Eduardo Scardaccione. La sentenza non è immediatamente operativa: ora dovrà essere depositata entro 30 giorni e ci saranno altri 90 giorni di tempo per impugnarla davanti alle sezioni unite civili della Cassazione.
Se la Cassazione dovesse dare ragione al Csm dunque, al giudice Pinatto non resterà che appendere la toga al chiodo.
Eppure solo due mesi fa un’altra notizia aveva rinfocolato la polemica sulla magistratura ed in particolare sulle scelte conservative dell’organo disciplinare delle toghe.

World Press – Rassegna Stampa Internazionale del 17 giugno 2008

Ore 01:12. Il grande giorno è finalmente giunto. Per un paio di ore, come due anni fa, l’Italia intera di destra e sinistra sarà unita in un unico scopo, tifare gli azzurri. Una squadra e uno spirito quello della Nazionale che ci fa riscoprire la bellezza di essere italiani. Tutto questo mentre il nostro premier rincorre, e chissà per quale motivo, i pm di sinistra e mentre le conseguenze dell’incontro Bush – Brown inizio a farsi sentire.

Rassegna Critica – Vengo dopo il Tiggì. Lodo Schifani e dintorni

Si torna a parlare di Lodo Schifani. Si torna? Qualcuno ci spiega? Di nuovo nell’aria, e al centro del dibattito (?) politico una norma dichiarata incostituzionale nell’ormai lontano 2004.
A volte ritornano? Una sapiente rielaborazione della stessa potrebbe tornare? Urgente il desiderio di comprendere.
Tre bambini tra i sei immigrati dispersi a largo di Malta. Un sabotaggio i rifiuti ospedalieri con tracce di radioattività . Esercito nelle strade, la norma sarà nel decreto sicurezza. Polemiche sul cosiddetto Lodo Schifani. Sentiamo cosa ci dice il Tg1 di oggi, ore 13.30, tra una vigilia di Italia-Francia e l’altra.

Omicidi bianchi sul lavoro. Altro che emergenza sicurezza

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Troppo spesso si è sentito parlare di emergenza sicurezza negli ultimi mesi qui in Italia. Emergenza extracomunitari, emergenza comunitari ma non troppo, emergenza rom. La tv, usata come un gladio contro l’invasore, amplifica a dismisura ogni crimine commesso da un clandestino. Quello che è stato creato in Italia è un vero e proprio allarme sociale. Forse l’ennesima dimostrazione del potenziale bellico delle armi di distrazione di massa in mano al tycoon dell’editoria, come lo chiamavamo fino a qualche anno fa.
Intendo dire che tutto è cambiato, l’ordine delle priorità insomma sembra diverso. Già, perchè a mia memoria, fino ad un paio di mesi fa, in piena bagarre elettorale, l’intero palinsesto televisivo era popolato da testimonianze di cittadini che non ce la facevano più ad arrivare a fine mese. Prodi li aveva stritolati ed il vampiro Visco aveva completato il lavoro.
Abbiamo sentito dire non arriviamo alla quarta settimana, poi pian piano si è scesi alla terza…e meno male che è caduto Prodi perchè altrimenti le tv adesso forse manderebbero immagini della Beirut primi anni 80 con la didascalia Roma. Il guaio è che ci avremmo creduto. Ma questa è un’altra storia.
Adesso, il problema del paese è la sicurezza e la privacy dei suoi cittadini, premier in testa naturalmente. Ebbene, c’è una buona notizia. In Italia per 4,7 persone al giorno è scampato il pericolo rom e il fastidio di essere intercettati. Perchè? Semplicemente perchè muoiono sul posto di lavoro.

Brown e Bush si cercano sull’Iraq

Sia Washington che Londra hanno cercato di depistare la cosa, asserendo che non esista un accordo predeterminato tra i due paesi su una possibile strategia futura. Il fatto però che questa cosa sia uscita, di per sé, già fa pensare il contrario.

Tutto questo mentre un’affermazione sibillina di George W.Bush fa pensare e riflettere sulle morti sul campo di battaglia. Per molti maggiormente onorevoli di altre, perchè dovuto all’orgoglio nazionale.

La situazione irachena e la giustificazione delle morti amiche si ritrovano in una frase di Bush:

“Provo dolore personale per le vittime in Iraq sia che si tratti di alleati o civili innocenti. Bisogna sottolineare che la popolazione irachena ha sofferto in un contesto più ampio. Le truppe americane non hanno “intenzionalmente ucciso persone innocenti”, ma soprattutto che un gran numero è stato ucciso da Saddam Hussein.”

Secondo voi: E’ possibile giustificare in questo modo una guerra?

Salva-Premier, a volte ritornano. Il Lodo Schifani Redux

Il Quirinale è preoccupato. Il Colle emana e propaga nell’aria di Roma inquietudine. Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella persona del suo vicepresidente, Nicola Mancino, pure. Ma si sa, il Csm troppo spesso si è posto nella condizione di essere e poter essere criticato.
Pochi cittadini lo sanno e lo tengono presente nella quotidianità: c’è un processo, il processo Mills, in cui Silvio Berlusconi è imputato di corruzione in atti giudiziari. In cui rischia, si è detto in passato, di essere condannato.
Il futuro: oggi un emendamento al decreto sicurezza, l’unico contenitore disponibile che gli può garantire la rapidità necessaria, per bloccare tutti i processi che

non destino grave allarme sociale

per i reati commessi fino al 2001. Esattamente il lasso di tempo necessario per i fatti del Processo Mills.

L’inchiesta che ha portato al processo Mills, condotta dai pm Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo, sostiene che Berlusconi nel 1997 fece inviare 600.000 dollari all’avvocato Mills come ricompensa per non aver rivelato in due processi, in qualità di testimone, le informazioni in suo possesso sulle società estere, che la procura ritiene la «tesoreria occulta» del gruppo

World Press – Rassegna Stampa Internazionale del 16 giugno 2008

Ore 01:48. Torna, dopo un giorno di riposo eccezionale, la Rassegna Stampa Internazionale che ogni giorno cerca di tenervi compagnia qualche minuto, prima di dover andare definitivamente a lavorare. Una chiusura eccezionale dovuta la fatto che il sottoscritto sta provando, anche visto il “bellissimo” tempo che c’è in provincia di Milano, a migrare verso lidi più assolati, ma con risultati pessimi. Così, dopo esserci fatti tutti insieme un po di fatti miei, ecco a voi la prima rassegna stampa settimanale, quella di lunedì 16 giugno 2008.

Rassegna Critica – Vengo dopo il Tiggì. Calcestruzzi per tutti

La TAV nel tratto di Anagni. L’ospedale di Caltanissetta. Cos’hanno in comune? Ecco un’agenzia del 13 giugno 2008:

(Il Sole 24 Ore Radiocor) – Milano, 13 giu – La Direzione distrettuale antimafia di Caltanisetta ha notificato un avviso di garanzia all’ad di Italcementi, Carlo Pesenti nell’ambito dell’inchiesta su Calcestruzzi, sequestrata nei mesi scorsi perche’ accusata di mafia e di avere fornito calcestruzzo di qualita’ inferiore a quello previsto nei capitolati di appalto. Stupore e sconcerto dei legali di Italcementi

Quattro righe che hanno dietro tutto un mondo. Un mondo che in pochi si sono preoccupati di spiegare diffusamente nel mondo mediatico italico. Voci che parlano, appunto, anche nella TAV nel tratto di Anagni. Voci che dicono che, disseminate per l’Italia, ci sono infrastrutture fatte con un’alta percentuale di cemento inferiore alla norma. Quindi a rischio crollo, oppure cmunque dalla durata inferiore alle aspettative.

Lecce, omicidio e coltellate

Lecce è una città bene. Un paesotto-città: mentalità grande paese dell’entroterra, a volte, dimensioni cittadine. Lecce è bella, pulita – in alcune zone – ma soprattutto ripulita. Ripulita nell’anima e nell’aspetto. Lecce è la nuova borghesia, i Mastro Don Gesualdo, i nobili che ancora sottolineano le loro origini, il Circolo Cittadino, lo shopping a Piazza Mazzini. Lecce è gruppi di ragazzi da pseudo-centro-sociale, cani al seguito, dred in testa, quanto ci sia di rivolta o denuncia non sta a me dirlo. Non se ne occupano neppure loro. Lecce mi ha accolta nella mia adolescenza.
Lecce è tranquilla, non accade mai nulla, o quasi, di criminoso. O meglio, quello che accade non lo vedi, difficilmente lo senti, è ovattato.
L’assassino, a Ugento – che non è esattamente Lecce, distando quei 60 chilometri verso sud – lo aspettava sotto casa nel cuore della notte.

Siamo tutti Pino Maniaci

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Siamo tutti Pino Maniaci perché Pino non deve sentirsi solo. Perché abbiamo bisogno di un giornalismo fatto d’impegno civile che ci aiuti a non essere distratti o indifferenti
Luigi Ciotti
Solo un paio di settimane fa appariva nelle pagine interne dell’edizione palermitana de La Repubblica, una notizia. E di questi tempi direi che già non è poco. Ironie a parte, il quotidiano riportava nelle pagine locali la notizia che la demolizione di alcune stalle abusive a Partinico, contrada Valguarnera. Gli edifici abusivi, di proprietà del clan Vitale, rappresentavano il simbolo del controllo del territorio da parte del clan di Leonardo, Vito e Michele Vitale, riferisce il giornale.
L’aspetto significativo di questa vicenda però è un altro. La demolizione degli stabili è avvenuta in preoccupato anticipo rispetto alla data fissata originariamente a causa di “voci” circolanti da giorni e arrivate all’orecchio degli inquirenti circa possibili “giochi di fuoco” in occasione dell’intervento del Genio civile. Sembra infatti che un attentato dinamitardo era previsto per il giorno della demolizione.
Discutibile a mio avviso che i telegiornali e le edizioni nazionali di quotidiani e relativi siti web non abbiano trovato spazio per dare notizia del possibile attentato. In questo contesto di indifferenza a volte disarmante, opera in quel di Partinico Pino Maniaci. Si va bene, ma chi è Pino Maniaci?

Rassegna Critica – Vengo dopo il Tiggì, da Guantanamo

Mentre Bush era in viaggio per le bellezze del Belpaese, un giochetto non da poco gli è stato giocato in terra patria.
Probabile non se lo aspettasse. Quando il gatto non c’è, i topi ballano? Non esattamente, perchè la notizia arriva dopo, naturalmente, un lungo processo e percorso. Un iter che coinvolge una tra le più ustionanti patate bollenti di Giorgio e dei suoi.
Quanto ne sapete, voi? O meglio: quanto vi hanno detto i Nostri (Studio Aperto, Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5)? La notizia in questione, del 12 giugno, è passata in un unico grande calderone, un codazzo melmatico all’interno della cronaca del viaggio del Presidente degli Stati Uniti in Europa, e soprattutto in Italia. E proprio mentre George cominciava la sua due giorni italica, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America svergognava, costituzionalmente parlando, Guantanamo. Una cosetta così, che è diventata un trafiletto, un sunto di una frase nei nostri telegiornali.

Bush e il Papa, le ragioni di un incontro

C’è una storia che non è stata raccontata. Tra le molte, troppe, dei giorni nostri.
Una storia analizzata solo in pochi contesti. Un’analisi non alla portata di tutti, a beneficio dei molti, ma solo di chi quell’analisi la andrà a cercare. Il racconto dei retroscena dell’incontro tra George W. Bush e Papa Benedetto XVI.
Un incontro cordiale, così è stato definito. Un incontro che, naturalmente, ha i suoi motivi politici ben precisi.