Esteri
Primarie USA: Volata finale
Ormai ci siamo. Se fossimo nel ciclismo potremmo dire ufficialmente che siamo appena passati sotto l’insegna dell’ultimo chilometro di una tappa di pianura. I velocisti sono nelle primissime posizioni pronti a partire, i gregari si sono messi in disparte tranne quei pochissimi “eletti” che tireranno il loro compagno di squadra fino a poche centinaia di metri dalla linea del traguardo.
Il traguardo è lì, poco lontano, e sembra proprio che i candidati destinati alla vittoria per i loro schieramenti saranno Barack Obama e John McCain. Cerchiamo di capire come le situazioni stanno andando da entrambe le parti.
Sig. Rossi d’Italia, unitevi! Nel nome del Codacons
Liberi Tutti!
Un’esortazione, un’ordine, un comando. Insomma lo si prenda come volete, ma in Ciad deve definitivamente arrivare il momento del “Liberi tutti!”. Siamo poco lontani da quel Kenya che ormai da 2 mesi sta vivendo giorni di angoscia, precedentemente sempre in primo piano e poi scomparsi, in silenzio e lentamente, nel dimenticatoio dei media. Una legge, quella mediatica, inesorabile che appena non servi più, ti fa scomparire dagli occhi di tutti.
Ieri era Kenya, oggi è Ciad. Sempre di Africa si tratta. Un paese troppo spesso dilaniato da lotte interne e da imposizioni di potere che dovrebbero invece lasciare spazio a un maggior dialogo come si confà ai paesi maggiormente democratici. Paesi dove l’opposizione di governo, seppur sconfitta alle elezioni, deve portare avanti le sue funzioni di oppositore, in rispetto ai voti conquistati, cercando di “migliorare” ciò che la maggioranza di governo cerca di produrre per il futuro dello stato.
Evidentemente queste semplici regole di vita democratica in Ciad mancano completamente. Da circa 15 giorni infatti, alcuni esponenti dell’opposizione di governo sono stati incarcerati dopo alcuni scontri tra esercito e ribelli. Una situazione questa che è stata garantita, poco più di 6 mesi fa, dall’accordo politico firmato con la supervisione della UE.
Obama, Hillary, Hillary, Obama. M’ama non m’ama. Nel segno della profezia nera
No Vat. No stampa
ETA: Ci mancavano solo loro
Siamo in un periodo veramente pessimo se pensiamo alla quantità di attentati a livello terroristico di cui siamo testimoni, fortunatamente solo attraverso gli occhi dei media non attraverso la realtà che ogni giorno viviamo. Comunque vedere, nei paesi mediorientali, questa situazione che si ripete di giorno in giorno è un fatto particolarmente triste che ci fa riflettere.
Sembra naturale ormai sentire, all’interno di un telegiornale, che 5,8,10 o chissà quante persone sono morte a causa di un kamikaze. Anzi pare quasi anormale vedere un telegiornale e non sentire una notizia del genere. Ormai questa è divenuta la normalità.
Eppure una volta non andava così il mondo. E gli attentati terroristici avvenivano molto più vicino a casa nostra, ma erano circoscritti alla loro nazione. Chi non si ricorda dell’IRA, l’organizzazione che operava nel Regno Unito, e l’ETA, l’organizzazione per la liberazione dei paesi baschi.
Afghanistan: Ritorno al futuro
Sono passati già 7 anni da quel famoso 11 settembre, una giornata in cui tutti i nostri occhi erano incollati allo schermo pronti a carpire qualsiasi minima notizia su uno degli attentati terroristici di più grandi intensità (se non il più grande) che la storia abbia mai visto. Da quella soleggiata, almeno a Milano, giornata di settembre sono successe molte cose.
Innanzitutto la crociata indetta da George Bush contro Osama Bin Laden, lo sceicco del terrore. I leader dei talebani, secondo i servizi segreti americani, era nascosto sui monti dell’Afghanistan. Da quella notizia inizio la guerra che portò alla liberazione dal potere talebano nel paese, stabilendo quindi la democrazia.
Una democrazia che in Afghanistan ha permesso alle donne di circolare liberamente anche senza il burka, ha permesso la riapertura delle sale cinematografiche e riconcesso una minima libertà di stampa che precedentemente erano state sopite.
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Pakistan: Ricominciamo!
C’è un tempo per piangere. Uno per ridere. Uno per sorridere. Uno per perdonare. E naturalmente uno per ricominiciare. Un periodo dove bisogna avere il coraggio di chiudere gli occhi sul passato per quanto questo possa essere triste. E avere il coraggio di continuare.
La morte di un leader, anzi di una leader, quale fu Benazir Bhutto, è un duro colpo da mandare giù, ma come anche lei avrebbe voluto è giunto il tempo di ripartire per donare al proprio paese, il Pakistan, quella democrazia che tanto lei desiderava. E che molti in Pakistan ancora desiderano.
Per loro, per lei, per tutti. Insomma per il Partito Popolare del Pakistan è giunta l’ora di rimboccarsi le maniche dopo 40 giorni di lutto, giustissimo sia chiaro, e ripartire nel viaggio che porterà il PPP verso le elezioni del 18 febbraio.
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Sveglia Libano!
Sono quasi 3 mesi che il Libano sta dormendo, vivendo una situazione di stallo che sembra non volersi sbloccare dallo scorso 23 novembre quando è scaduto il mandato di Emile Lahoud. Da allora il paese si trova senza un presidente e quindi senza un governo stabile.
Uno scenario, questo in Libano, tipico dei paesi musulmani, dove al termine di un mandato molto spesso si sussegue un periodo di instabilità non dovuto ad eventuali cambi di governo o ad elezioni non gradite (come invece è capitato in Kenya ad esempio), ma a una situazione di disorganizzazione che permette poi al più forte in quel momento di prendere in mano il potere.
Così però non sembra in Libano, dove il candidato teorico alla presidenza il comandante dell’esercito Michel Suleiman non riesce a salire definitivamente al potere. A suo sostegno sta accorrerà mercoledì Amr Moussa, il segretario generale della Lega Araba.