Bp: “Static Kill” tappa il Macondo 106 giorni dopo l’esplosione della Deepwater Horizon

Stavolta, dopo oltre tre mesi di vani tentativi, la British Petroleum sembra essere riuscita a chiudere il pozzo sottomarino Macondo (1500 metri di profondità): dopo 106 giorni di prove disperate, sperimentazioni, alta ingegneria, i tecnici della Bp hanno raggiunto l’obiettivo con l’operazione cosiddetta “Static Kill” che è durata anche meno rispetto alle previsioni (si parlava di 60 ore di lavoro ininterrotto, a conti fatti ne sono state risparmiate – di quelle – un bel po’).

Nello specifico, è stato iniettato in profondità un miscuglio di cemento e fango capace di spingere il petrolio nel bacino sottostante, un deposito 4mila metri sotto la superficie marina. A questo punto, la marea nera (i cui danni restano ovviamente macroscopici) pare arginata e dovrebbero proseguire le operazioni di monitoraggio.

A renderlo noto, referenti della stessa Bp: “Il pozzo viene sorvegliato, secondo la procedura, per assicurare che la pressione resti stabile; in base ai risultati di questo controllo si capirà se saranno necessarie nuove iniezioni di fango o meno“.

Oltre tre mesi dopo, con quasi 5 milioni di barili di petrolio persi in mare (800mila i barili recuperati, gli altri sono andati dispersi o sciolti dai solventi gettati nelle acque del Golfo), potrebbe dunque essere giunto l’epilogo positivo che si attendeva: tutto era cominciato lo scorso 20 aprile quando, a seguito di una esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon (sulle coste della Louisiana, appartenente alla svizzera Transocean ma gestita dalla britannica BP), persero la vita undici persone.

Due giorni più tardi – siamo al 22 aprile – la piattaforma affondò e il petrolio comincio a disperdersi in mare. Altra tappa significativa che val la pena ricordare è quella del 16 giugno scorso, quando venne siglato un accordo tra Bp e Casa Bianca per l’istituzione di un fondo da 20 miliardi di dollari per pagare i danni.

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