World Press – Rassegna Stampa Internazionale del 06 giugno 2008

Ore 02:02. Sono i più disparati gli argomenti che capeggiano le prime pagine delle maggiori testate giornalistiche internazionali. Si passa dal problema sicurezza, che non esiste solo nella realtà italiana, a quello più generale della clandestinità che colpisce quasi tutti i paesi europei. I giornali internazionali seguono quindi con meno interesse le vicende legate alle primarie USA (la decisione di Hillary dovrebbe verificarsi sabato e non oggi come anticipato nell’edizione di ieri) e il malfunzionamento della centrale di Krsko (rivelatasi solo una bomba mediatica).

Il silenzio a Piazza Tiananmen, 19 anni dopo

Il NYT dice. It’s over. Now, it begins. Questo è il sunto di quanto accade negli USA in queste ore. E’ la svolta? Ci sono molte cose che non vengono dette, plausibilmente. Se ci arriva, a novembre… Ci dicevamo ieri a cena. E tutto si vuole tranne che portargli sfiga. La vittoria, la fine e l’inizio di Barack Obama si collega – e il volo non è pindarico – all’altra faccia del mondo.
Penso a piazza Tian’anmen. Dimostrazioni guidate da studenti, intellettuali, operai nella Repubblica Popolare Cinese tra il 15 aprile ed il 4 giugno 1989. Diciannove anni fa si chiudeva una storia che ha riaperto la storia. Quel simbolo. Qui una cronaca di 19 anni dopo.

World Press – Rassegna Stampa del 05 giugno 2008

Ore 02:20. E’sempre Barack Obama il protagonista dei maggiori quotidiani mondiali, alla cui vittoria nelle primarie democratiche fa eco la sconfitta e il futuro ancora incerto di Hillary Clinton. Una Clinton che nei prossimi giorni si troverà a dover decidere sul proprio futuro all’interno del partito con la obbligata scelta di divenire o no il vice-presidente del senatore dell’Illinois.

A proposito del reato di clandestinità

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Con una dichiarazione ufficiale alla stampa estera riunita nella conferenza stampa congiunta con il presidente francese Nicholas Sarkozy, Berlusconi fa l’ennesima retromarcia sul cosiddetto pacchetto sicurezza. Dopo gli annunci seguiti alle promesse elettorali e l’appoggio silenzioso al partito della xenofobia, il Cavaliere ha parlato ieri di clandestinità come “aggravante” e non già come reato a sé stante.
Come era prevedibile, dopo lo scorporo – diciamo così – della spinosa questione dal decreto legge emanato nel primo Consiglio dei ministri, e la decisione di trattare la materia in un disegno di legge separato, i giuristi del Popolo delle libertà hanno gettato la spugna. Il reato di clandestinità non s’ha da fare. Bene, bravi, bis. Incerti del mestiere. Questa cosa dell’emergenza sicurezza funziona, altrochè se funziona devono avere detto dalle parti di Arcore. Si sono fatti prendere la mano. E una boutade di pura propaganda elettorale è diventata qualcosa di più grosso. Una sorta di esperimento di viral marketing sfuggito al controllo di chi lo ha partorito.
Sull’ipotesi di istituire il reato di clandestinità, tanto caro alla Lega, si erano pronunciati tutti. Onu, Unione Europea, capi di stato e ministri dell’Interno di mezza Europa. Il coro unanime di no, come sempre, sembrava non aver turbato il manovratore italiano che ha continuato a spargere sale sulla ferita emergenza sicurezza – da lui stessa aperta a mio avviso – fino al dietrofront di cui sopra. Ma aldilà della ragioni della politica, spesso incomprensibili a chi sta fuori dal Palazzo, vi sono le ragioni giuridiche ad abbattere qualsivoglia progetto di legge in materia di clandestinità.
Il procuratore aggiunto di Torino, Bruno Tinti, ha illustrato analiticamente alcuni passaggi essenziali del disegno di legge per dimostrare cosa succederebbe nella prassi se fosse introdotto nel nostro codice penale il reato di clandestinità.

Mahmoud il solitario

E’bastato un quarto d’ora al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad per attirare a se le polemiche di questo vertice FAO. Le sue parole, taglienti come lame, hanno colpito tutti gli argomenti scottanti nella realtà iraniana.

Israele, Stati Uniti e naturalmente crisi alimentare sono stati gli argomenti sostenuti dal presidente, senza mezzi termini e sempre spavaldo, sicuro, forte e stoico. Anche quando più che un discorso sembra trattarsi di minacce.

Un quarto d’ora che gli ha permesso di conquistare zero, e ripeto zero, applausi e solo una veloce stretta di mano, obbligata, dal direttore generale della FAO, Jacques Diouf.

Ma d’altronde che reazione si poteva aspettare chi afferma che Israele ha i giorni contati? Forse dovrebbe ritenersi fortunato di non essersi beccato nessun fischio; anche se fuori circa 350 manifestanti ebrei avrebbero voluto incontrarlo. Per applaudirlo?

Chiudi le valigie Obama, si va a Washington!

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In aria di Europei non può che risalire quell’atmosfera nell’aria. Quello spirito calcistico, e al tempo stesso azzurro, che ci ha fatto rabbrividire mentre uno dei migliori commentatori italiani di sempre ci invitava a chiudere le valigie e partire per la destinazione del prossimo turno.

Sfruttando quel motto che divenne così famoso anche grazie alla vittoria del campionato del mondo di calcio non posso che rivolgere lo stesso invito ad Obama.

Il mio sostegno per la bionda Hillary rimane è ovvio, però direi che ormai i giochi sono talmente tanto finiti che, nonostante il coloured candidate non abbia ancora vinto ufficialmente, e come se lo fosse già vincitore.

Once upon a time: Bob Kennedy

Robert Francis Kennedy. Lo chiamavano Bob, o Bobby . E’ nato a Brooklyn il 20 novembre 1925. Ed è morto a Los Angeles, il 6 giugno 1968. Tra tre giorni, 40 anni. Figlio di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald e fratello di John Fitzgerald Kennedy.
Il nostro benessere, scrive:

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL). Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Hanno fame. E adesso che si FAO?

Prende il via oggi a Roma il vertice internazionale della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite incaricata di supervisionare sui problemi della fame nel mondo e affini.

Al convegno parteciperanno numerose autorità internazionali che si ritroveranno a parlare di una delle situazioni più critiche mai viste. Tra le presenze più discusse quelle del presidente iraniano Ahmadinejad, o il presiednte dello Zimbabwe Mugabe, accusato di aver messo in ginocchio il proprio paese con il problema della fame.

Non solo critiche nei confronti di ogni singolo paese per questo o quel problema. I problemi sono anche in seno all’organizzazione FAO e questo convegno ha anche la necessità e il dovere di dover rimediare a una situazione di spreco che sta colpendo l’organizzazione stessa.

Un convegno che non porta solo ed esclusivamente le proteste dei capi di stato ma anche di tutti coloro, semplici cittadini, che si ritroveranno a voler manifestare il proprio pensiero ad alta voce. Nei pressi del Palazzo della FAO infatti campeggia un lungo striscione che dice “Stop al business della fame”. Uno striscione al quale non posso che essere d’accordo.

Dopo Amnesty, l’Onu. Sono solo frivolezze

Si scriveva, il 28 maggio, di Amnesty International e di quella parte del rapporto dedicata all’Italia. Grande attenzione era stata dedicata al Belpaese in quella vicina sede. Commento di un lettore all’articolo:

Se l’Italia è razzista cosa sono le società africane da anni dedite al massacro etnico reciproco? Andatelo a chiedere ai soloni di Amnesty, che non perdono mai occasione per dire frivolezze

Oggi è la Festa della Repubblica. Un italiano su tre non sa neppure perchè. E oggi giunge una SIGNORA condanna dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Louise Arbour all’Italia. Nonchè il Vaticano, nella sua criticabile interferenza continua nella vita politica dell’indipendente Italia, per la politica del governo italiano nei confronti degli immigrati clandestini. Solo che dell’ONU l’Italia fa parte.

Quale relazione?

Ma il cielo è sempre più blu. E non se ne capisce la relazione. Come faccia a resistere.
A quell’ex comunista di Giorgio Napolitano, che non è tra i migliori presidenti della nostra Repubblica, ma per ruolo istituzionale e non solo, di cose serie parla, in occasione della Festa della Repubblica in effetti… parla e dice: in Italia c’è il rischio di una

regressione civile

Chi tifa per Europa 7?

A me vien molto da ridere. Tocca ora al governo decidere sull’istanza di Centro Europa7 per l’assegnazione delle frequenze televisive nazionali analogiche.
A parlare è il Consiglio di Stato. Ha respinto il ricorso in appello proposto da Rti Spa – leggi: Mediaset – contro l’emittente, con il quale si chiedeva l’annullamento della sentenza del Tar del Lazio del settembre 2004.

Mi scusi Presidente…

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Era questo l’incipit di una nota canzone di Giorgio Gaber, scritta nell’ultimo periodo della sua carriera, quello della Milano da bere, che aveva sostituito quella sua Milano tanto amata, quella del Cerutti. Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono il ritornello del pezzo. Il signor G, proseguendo idealmente un percorso di impegno civile iniziato negli anni settanta, si scaglia contro il malcostume della politica e la corruzione della società. Note a tutti le dolci-amare dicotomie proposte in Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?, Gaber esprime in Io non mi sento italiano lo smarrimento del senso di appartenenza all’Italia di oggi.
E di oggi è la pubblicazione su La Repubblica di una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. La mittente è una giovane ricercatrice italiana emigrata in Gran Bretagna, Maria Vinci. La dottoressa si domanda cosa stia succedendo al nostro paese, cercando di descrivere anche come noi italiani siamo visti all’estero. La descrizione è a tratti impietosa ma la riflessione di fondo sull’approccio al problema sicurezza mi trova personalmente d’accordo e ho deciso di pubblicarla per sapere da chi la leggesse cosa pensa a riguardo.
All’interno il testo integrale della lettera.

Clinton’s List

Dal titolo di questo articolo qualcuno di voi potrebbe iniziare a pensare a qualche somiglianza con quel film di Steven Spielberg che, nel 1993, catturò l’attenzione di tutti nei confronti del “prima sconosciuto ora famoso” Oskar Schindler.
In questo caso non si tratta di nulla di ciò. Anzi, si tratta di qualcosa di completamente diverso. La lista di Clinton infatti non è una lista di nomi da salvare.
La Clinton’s List la potremmo forse definire meglio come una black list, una lista nera dove sono indicati tutte quelle persone, quelle organizzazioni, quei media che per un motivo o per l’altro hanno portato alla sconfitta di Hillary (ancora non ufficialmente, ma in dirittura di arrivo).

Obama nel nome delle donne

La storia ce lo ha sempre insegnato: affinchè un governo possa resistere, durare con successo governato da un uomo al suo fianco vi deve essere una grande donna.
Una donna che non deve essere obbligatoriamente la fidanzata, la moglie o l’amante, quanto invece una consulente, un sostegno, una compagna di squadra.
Perchè nell’ambito politico se è vero che gli uomini, essendo soprattutto in maggioranza, sono in grado di accentrare a se la maggior parte del potere, è altrettanto vero che le donne sono fondamentali con la loro dialettica e i loro modi di fare per ottenere ottimi risultati su tutti i campi.