Riformare il 41 bis. A proposito di emergenze


“La 41 bis e’ una norma intrisa del sangue e dell’intelligenza di due grandi magistrati come Falcone e Borsellino, ma nel corso degli anni ha subito un sostanziale depotenziamento”. Lo ha detto a Sky Tg24 il procuratore generale della Procura di Torino, Gian Carlo Caselli. “Certamente serve un aggiornamento sulla base delle esperienze acquisite e dei mutamenti avvenuti in questi anni”.


La dichiarazione del procuratore Caselli giunge all’indomani dell’ennesima decisione di un Tribunale di sorveglianza, chiamato a pronunciarsi sull’ennesima richiesta di revoca dell’applicazione dell’articolo 41 bis da parte dei legali di un condannato per reati di mafia. L’articolo in questione, inserito nella legge 354 del 26 luglio 1975, in materia di ordinamento penitenziario, prevedeva originariamente al primo comma la possibilità per il ministro della Giustizia di sospendere l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti previste dalla stessa legge in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza ovvero, quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, nei confronti dei detenuti (anche in attesa di giudizio) per reati di terrorismo o eversione.


Entrato ufficialmente in vigore nel 1986 con la legge Gozzini, il 41 bis è stato allargato ai reati di mafia dopo (!) le stragi di Capaci e via D’Amelio del 92, in cui persero la vita Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. Un secondo bis fa da qui giorni capolino sotto il secondo comma dell’articolo 41 bis


2 bis. I provvedimenti emessi ai sensi del comma 2 sono adottati con decreto motivato del Ministro della giustizia, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice che procede ed acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze. I provvedimenti medesimi hanno durata non inferiore ad un anno e non superiore a due e sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno, purchè non risulti che la capacità del detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno.


In pochissime parole, il carcere duro per i mafiosi. Inserito allo scopo di recidere ogni possibile contatto del detenuto con l’esterno, e quindi con l’organizzazione criminale di riferimento. Nel 2002, l’agghiacciante comunicato letto del boss Leoluca Bagarella, sentito in teleconferenza dal Tribunale di Trapani. Il governo, afferma Bagarella, non avrebbe mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale sulla riforma del 41 bis. La risposta dello Stato sembrò perentoria, con la modifica della misura cautelare, all’insegna di una minore discrezionalità nella decisione, e rendendo permanente il provvedimento. Applausi, sipario. Poi il silenzio.


Insomma, sembra arrivato il momento di mettere mano a quella che da più parti è stata vista sempre e comunque una misura irrazionale. Alla luce del granitico garantismo del nostro sistema giudiziario si sarebbe dovuto operare un scelta diversa, strutturale, non di tipo emergenziale, così come appare l’attuale applicazione del regime del 41 bis. Non è stato ancora fatto, ma si può rimediare.


Nei giorni in cui si apprende della revoca della misura restrittiva, prevista dall’articolo fin qui citato, per il boss Antonio Madonia, condannato tra le altre cose per l’omicidio di Libero Grassi e per le stragi del ’93 di Firenze e Roma. Stessa sorte è toccata poche ore dopo a Gioacchino Calabrò, anche lui condannato per le stragi del ’93. Non che questi due siano casi isolati. Solo due anni fa era stato il caso di Cosimo Lo Nigro, uno degli esecutori materiali della strage di Firenze del ’93. È vuota la cella al 41 bis di Giuseppe La Mattina, uno dei mafiosi che uccise il giudice Paolo Borsellino. La lista è tristemente lunga. Negli ultimi sei mesi sono 37 i mafiosi che hanno visto l’accoglimento della loro richiesta dai Tribunali di sorveglianza.


Una spiegazione del perchè possa accadere tutto questo prova a darla il Procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone

Il 41 bis non è più quell’isolamento pressoché assoluto che era stato previsto nella legge varata dopo le stragi Falcone e Borsellino. I ripetuti interventi della Corte Costituzionale, a cui si è necessariamente adeguato il legislatore, hanno attenuato quel regime di isolamento. La preoccupazione dei capimafia resta sempre la stessa, inchieste e processi in svariate parti d’Italia l’hanno dimostrato, i detenuti al 41 bis riescono a mantenere contatti con l’esterno, questione vitale per le organizzazioni criminali

Ma quindi, di che stiamo parlando?

2 commenti su “Riformare il 41 bis. A proposito di emergenze”

  1. uniti PER il 41 bis…la sinistra NON dimentica la sicila….mi piacerebbe fosse questa la risposta allo slogan degli ultras palermo che scrissero uniti contro il 41bis berlusconi dimentica la sicilia…riferendosi a presuntev promesse fatte ai grandi elettori siciliani

  2. Bravi gli ultras che hanno scritto uniti contro il 41 bis hanno ragione perchè è un degrado questa legge sia per quei poveri detenuti che lo vivono e sia per i povei familiari che ne pagano le conseguenze siamo con voi

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