A proposito del reato di clandestinità

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Con una dichiarazione ufficiale alla stampa estera riunita nella conferenza stampa congiunta con il presidente francese Nicholas Sarkozy, Berlusconi fa l’ennesima retromarcia sul cosiddetto pacchetto sicurezza. Dopo gli annunci seguiti alle promesse elettorali e l’appoggio silenzioso al partito della xenofobia, il Cavaliere ha parlato ieri di clandestinità come “aggravante” e non già come reato a sé stante.
Come era prevedibile, dopo lo scorporo – diciamo così – della spinosa questione dal decreto legge emanato nel primo Consiglio dei ministri, e la decisione di trattare la materia in un disegno di legge separato, i giuristi del Popolo delle libertà hanno gettato la spugna. Il reato di clandestinità non s’ha da fare. Bene, bravi, bis. Incerti del mestiere. Questa cosa dell’emergenza sicurezza funziona, altrochè se funziona devono avere detto dalle parti di Arcore. Si sono fatti prendere la mano. E una boutade di pura propaganda elettorale è diventata qualcosa di più grosso. Una sorta di esperimento di viral marketing sfuggito al controllo di chi lo ha partorito.
Sull’ipotesi di istituire il reato di clandestinità, tanto caro alla Lega, si erano pronunciati tutti. Onu, Unione Europea, capi di stato e ministri dell’Interno di mezza Europa. Il coro unanime di no, come sempre, sembrava non aver turbato il manovratore italiano che ha continuato a spargere sale sulla ferita emergenza sicurezza – da lui stessa aperta a mio avviso – fino al dietrofront di cui sopra. Ma aldilà della ragioni della politica, spesso incomprensibili a chi sta fuori dal Palazzo, vi sono le ragioni giuridiche ad abbattere qualsivoglia progetto di legge in materia di clandestinità.
Il procuratore aggiunto di Torino, Bruno Tinti, ha illustrato analiticamente alcuni passaggi essenziali del disegno di legge per dimostrare cosa succederebbe nella prassi se fosse introdotto nel nostro codice penale il reato di clandestinità.

L’informazione? Questione di punti di vista. Ovvero: “Delle trasformazioni”

Tornando al Ponte sullo Stretto di Messina. Quando ero una studentessa felice – ‘nzomma – di Scienze della Comunicazione (Scienze delle merendine, sìsì) – mi sono imbattuta nei misteri della vita. L’analisi del testo e l’analisi del contenuto. Cose grosse, dunque. In quell’illusione sublime di trovare nel linguaggio una base ai contenuti. Alcuni parlavano persino di universalità.
L’analisi del contenuto è faccenda statunitense. Ad un popolo come quello italiano, ingrato (troppo spesso) erede di Dante, una faccenda del genere – l’eventuale trasposizione della matematica nelle regole della linguistica e della comunicazione – non può che essere poco comfortable, data la complessità, poi, della lingua madre, ben altra faccenda rispetto a quella anglosassone – che difatti, per facilità, si è imposta come lingua degli scambi internazionali.
Faccenda statunitense, dunque, che ha visto la luce agli inizi dello scorso secolo. L’analisi – la definizione all’epoca me la sono ripetuta molteplici volte – è quella del contenuto manifesto della comunicazione.

Mahmoud il solitario

E’bastato un quarto d’ora al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad per attirare a se le polemiche di questo vertice FAO. Le sue parole, taglienti come lame, hanno colpito tutti gli argomenti scottanti nella realtà iraniana.

Israele, Stati Uniti e naturalmente crisi alimentare sono stati gli argomenti sostenuti dal presidente, senza mezzi termini e sempre spavaldo, sicuro, forte e stoico. Anche quando più che un discorso sembra trattarsi di minacce.

Un quarto d’ora che gli ha permesso di conquistare zero, e ripeto zero, applausi e solo una veloce stretta di mano, obbligata, dal direttore generale della FAO, Jacques Diouf.

Ma d’altronde che reazione si poteva aspettare chi afferma che Israele ha i giorni contati? Forse dovrebbe ritenersi fortunato di non essersi beccato nessun fischio; anche se fuori circa 350 manifestanti ebrei avrebbero voluto incontrarlo. Per applaudirlo?

Chiudi le valigie Obama, si va a Washington!

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In aria di Europei non può che risalire quell’atmosfera nell’aria. Quello spirito calcistico, e al tempo stesso azzurro, che ci ha fatto rabbrividire mentre uno dei migliori commentatori italiani di sempre ci invitava a chiudere le valigie e partire per la destinazione del prossimo turno.

Sfruttando quel motto che divenne così famoso anche grazie alla vittoria del campionato del mondo di calcio non posso che rivolgere lo stesso invito ad Obama.

Il mio sostegno per la bionda Hillary rimane è ovvio, però direi che ormai i giochi sono talmente tanto finiti che, nonostante il coloured candidate non abbia ancora vinto ufficialmente, e come se lo fosse già vincitore.

Once upon a time: Bob Kennedy

Robert Francis Kennedy. Lo chiamavano Bob, o Bobby . E’ nato a Brooklyn il 20 novembre 1925. Ed è morto a Los Angeles, il 6 giugno 1968. Tra tre giorni, 40 anni. Figlio di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald e fratello di John Fitzgerald Kennedy.
Il nostro benessere, scrive:

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL). Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Hanno fame. E adesso che si FAO?

Prende il via oggi a Roma il vertice internazionale della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite incaricata di supervisionare sui problemi della fame nel mondo e affini.

Al convegno parteciperanno numerose autorità internazionali che si ritroveranno a parlare di una delle situazioni più critiche mai viste. Tra le presenze più discusse quelle del presidente iraniano Ahmadinejad, o il presiednte dello Zimbabwe Mugabe, accusato di aver messo in ginocchio il proprio paese con il problema della fame.

Non solo critiche nei confronti di ogni singolo paese per questo o quel problema. I problemi sono anche in seno all’organizzazione FAO e questo convegno ha anche la necessità e il dovere di dover rimediare a una situazione di spreco che sta colpendo l’organizzazione stessa.

Un convegno che non porta solo ed esclusivamente le proteste dei capi di stato ma anche di tutti coloro, semplici cittadini, che si ritroveranno a voler manifestare il proprio pensiero ad alta voce. Nei pressi del Palazzo della FAO infatti campeggia un lungo striscione che dice “Stop al business della fame”. Uno striscione al quale non posso che essere d’accordo.

L’irraggiungibile Pechino

Capita che in momenti di crisi che la popolazione di uno certo stato emigri verso lidi migliori al fine di poter vivere meglio la propria esistenza magari lontano da tutti quegli aspetti negativi che una guerra civile, ad esempio, può causare.
Altri invece sono i casi in cui, dopo una situazione anomala, il paese venga indicizzato quasi fosse colpito da chissà quale piaga, da chissà quale malattia.
La situazione Tibet, al momento attuale, è divenuta come una pesante piaga che sta colpendo il paese giallo e che probabilmente comporterà delle perdite, inizialmente non previste.

Not in my pocket

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La prossima settimana al Senato sarà affrontata la discussione sul cosiddetto emendamento ammazza Europa 7: ci auguriamo che il Governo, anche alla luce della sentenza del Consiglio di Stato che fa proprie le conclusioni della Corte Europea di Giustizia, voglia assumere tutti i provvedimenti necessari per consentire ad Europa 7 di poter immediatamente illuminare l’intero territorio nazionale.
Parole di speranza quelle di Beppe Giulietti, che a nome di Articolo 21 ha presentato una raccolta firme contro la paventata decisione dell’esecutivo di andare incontro alla multa inflitta dall’Unione europea pur di non mandare Rete 4 sul satellite. L’iniziativa, Not in my pocket, ammonisce chiaramente fin dal nome sulle sue finalità. Ovvero impedire che siano i cittadini a dover pagare una tassa per tutelare gli interessi imprenditoriali del presidente del consiglio.
Sarebbe grave, anzi gravissimo – prosegue l’appello di Articolo 21 – se il Governo del conflitto di interessi dovesse decidere di perdere tempo e di puntare tutte le sue carte sull’indennizzo che, in caso di mancata risposta , dovrebbe essere erogato a ‘Europa 7′ a spese dei contribuenti. Analogo indennizzo sara’ probabilmente pagato anche per il mancato recepimento delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione Europea. I cittadini – si ribadisce – non possono essere chiamati a pagare una tassa solo e soltanto per tutelare gli interessi del presidente del Consiglio.
O forse sì.

Gomorra, kalashnikov e pentiti

Michele Orsi, imprenditore. E’ stato ucciso sabato in un agguato a Casal di Principe. Due le ipotesi: ha pagato con la vita uno sgarro a una fazione dei Casalesi, contrapposta a quella di Francesco Bidognetti. Oppure è morto perchè ha parlato e poteva parlare.

Non era un pentito, ma avevamo chiesto protezione

dice il suo legale. Orsi era stato accusato di avere favorito il clan dei Casalesi. Aveva parlato con la giustizia, rivelando responsabilità dei vertici dell’organizzazione, in particolare della fazione ritenuta capeggiata da Bidognetti.

La cronaca dei fatti è nota. I sicari hanno riservato a Orsi anche un colpo di grazia alla testa.

Dopo Amnesty, l’Onu. Sono solo frivolezze

Si scriveva, il 28 maggio, di Amnesty International e di quella parte del rapporto dedicata all’Italia. Grande attenzione era stata dedicata al Belpaese in quella vicina sede. Commento di un lettore all’articolo:

Se l’Italia è razzista cosa sono le società africane da anni dedite al massacro etnico reciproco? Andatelo a chiedere ai soloni di Amnesty, che non perdono mai occasione per dire frivolezze

Oggi è la Festa della Repubblica. Un italiano su tre non sa neppure perchè. E oggi giunge una SIGNORA condanna dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Louise Arbour all’Italia. Nonchè il Vaticano, nella sua criticabile interferenza continua nella vita politica dell’indipendente Italia, per la politica del governo italiano nei confronti degli immigrati clandestini. Solo che dell’ONU l’Italia fa parte.

Tengo famiglia

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E’ questo il nome di un interessante sito/esperimento nato solo casualmente all’indomani delle ultime elezioni politiche con uno scopo ambizioso. Sottotitolo: Esercizio per tentare di comprendere i risultati dei recenti governi Italiani. Si precisa in homepage: Questo documento è stato preparato da soggetti apolitici e apartitici. Non è dunque né di destra, né di sinistra, né di centro.

Essendo francamente impossibile potersi fare un’idea dell’effettivo operato dei governi attraverso i media tradizionali, i ragazzi di Tengofamiglia hanno di fatto bypassato la mediazione di giornali e TV e per il loro esperimento si sono recati direttamente alla fonte, i dati. Carta canta.

La ricerca condotta mette a confronto i governi italiani succedutisi dal 1994 al 2008 – per intenderci dal primo Berlusconi all’ultimo Prodi – con alcuni paesi stranieri, prendendo in considerazione una serie di valori in qualche modo suscettibili all’azione dei governi. Il risultato, almeno teoricamente, dovrebbe portare ad una più chiara visione dell’operato di chi ci governa, ma nasce forse con un intento più provocatorio che tecnico. In sostanza– testuale – questo documento è utilizzato da chi lo ha prodotto come strumento di difesa contro le affermazioni (spesso non documentate) dei politici di vario orientamento. Ma passiamo al succo.

Auguri Repubblica

Era il 1946. La guerra era da poco finita è un paese completamente allo sbando si ritrovò a decidere se era più giusto continuare sulla strada che già era stata intrapresa, la monarchia, o cambiare il tipo di governo e passare alla Repubblica.

Allora fu il primo scandalo politico. Chi diceva che vi furono brogli, chi diceva che invece il referendum fu regolare. Nonostante tutto fu la vittoria della Repubblica Italiana. E fu la sconfitta dei Savoia che se ne dovettero andare dal bel paese, per poi ritornarvici solo molti anni dopo.

Negli ultimi anni, specie con la necessità di ritrovare un orgoglio nazionale ormai perduto in molti cittadini, se non in qualche sporadica competizione calcistica, la festa della Repubblica ha trovato un nuovo vigore e un nuovo spirito.

Uno spirito che deve essere quello che guida la nostra vita di tutti i giorni. Da cittadini orgogliosi di vivere in Italia, di essere italiani e di poter dire orgogliosi nel mondo che il bel paese è la mia nazione di origine. Auguri Repubblica, auguri Italia.

Quale relazione?

Ma il cielo è sempre più blu. E non se ne capisce la relazione. Come faccia a resistere.
A quell’ex comunista di Giorgio Napolitano, che non è tra i migliori presidenti della nostra Repubblica, ma per ruolo istituzionale e non solo, di cose serie parla, in occasione della Festa della Repubblica in effetti… parla e dice: in Italia c’è il rischio di una

regressione civile