Come cambiano le province con la riforma Delrio

Il sottosegretario Delrio ha presentato la legge che ufficialmente abolisce le province ma in realtà si traduce con un nulla di fatto, almeno dal punto di vista formale, nel senso che queste istituzioni restano ma non saranno più collegate ai cittadini.

Parlare di abolizione delle province non è corretto, nemmeno in fase di presentazione perché nella riforma Delrio sono semplicemente trasformate in enti di secondo livello così come di secondo livello diventa il tipo di elezione atta a definire Presidente e Consiglio provinciale. Un tipo di elezione che sembra possa essere esteso anche al Senato nella nuova definizione data di questo ramo del Parlamento nel ddl Boschi.

In pratica il Presidente e il Consiglio provinciale non saranno più eletti dai cittadini ma dagli amministratori locali e questo passaggio, secondo Delrio, dovrebbe ridurre gli sprechi portando circa 3 miliardi di euro nelle casse dello Stato. Le province, di fatto, continueranno ad occuparsi della pianificazione del territorio e del sistema d’istruzione che invece interessano moltissimo i cittadini.

Gli amministratori locali dovranno votare e farsi eleggere in Provincia perché Presidente può essere eletto soltanto uno dei sindaci dei comuni della provincia e possono diventare consiglieri soltanto i sindaci, i consiglieri comunali e gli ex consiglieri provinciali. Tutto si tradurrà in una macchinosa ripartizione delle poltrone dove conterà molto il consenso dei partiti a livello locale e conterà molto anche l’essere inseriti in un partito. I sindaci eletti con le liste civiche, infatti, non hanno una grande speranza di emergere se i partiti, di centrosinistra e di centrodestra si mettono d’accordo per eleggere uno dei loro.

Di fatto, tra il 28 settembre e il 12 ottobre, gli amministratori locali voteranno per i rappresentanti provinciali in 64 province e 8 consigli metropolitani. C’è posto per 986 persone che saranno indicate dai partiti riproponendo delle intese non larghe ma larghissime.