Obama, shame on you. Hillary all’attacco

Clinton
Quando l’insegnante di inglese (gran donna. Che fine triste che ha fatto, nella miseria delle miserie che è la vita umana) ci diceva Whet a shame, noialtri, adolescenti senza memoria e senza barba, potevamo solo intuire la forza del messaggio. Hillary Clinton che saetta

Shame on you

a Barack Obama, decisamente, ha una certa forza.

Di rosso vestita, è anche decisamente alterata, diretta, avvelenata, agguerrita. Lei smentisce ed esclude, ci mancherebbe altro, sono Hillary Clinton, non certo il primo anonimo che ha deciso di mettersi in testa di arrivare alla poltrona della Casa Bianca, è da escludersi che io pensi di ritirarmi – anche se sono così stanca…
Non l’ha detto, sia ben chiaro, non ha parlato di stanchezza. Certo, a livello di nervi, una donna stenta ad invidiarla. Arriverai forse ad essere la donna più potente del mondo? Ma nel frattempo avrai perso 20 anni di vita e qualsiasi residuo di forma umana.

Quello che i “democrats” non dicono… ve lo dice Nader

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Sulla scena della corsa alla Casa Bianca irrompe il Paladino dei consumatori. Il suo nome è Ralph Nader, e certamente in Italia famosissimo non è. Ecco no, diciamo che non è mai stato ospite della De Filippi, non ci risulta. Ma la sua storia merita di essere raccontata comunque. Nader è un avvocato americano con il pallino della difesa della società dall’Imperialismo capitalista. Detta così fa anche un po’ paura lo ammetto, ma tant’è. Approfondiremo.
I più attenti alle faccende USA lo ricorderanno in una piccola particina come comparsa nelle presidenziali americane 2004, quando si presentò come indipendente raccogliendo un misero 0,7% di consensi. Quelli bravi, ma davvero bravi però, lo ricorderanno anche nella tornata del 2000, quella del dopo Clinton per intenderci, in cui raccolse il 2,7% con 3 milioni di voti.
Fantascienza, ma non è questo il punto.

Hillary Clinton, ovvero: come si rosica made in US

Hillary Clinton
Hillary Clinton sta, come si direbbe a Roma, rosicando. Tsunami Barack è il suo incubo infinito. L’afroamericano è alla sua decima vittoria consecutiva dopo il Supermartedì del 5 febbraio scorso. 10. 10 vittorie per lui.
In Wisconsin si è portato a casa il 58% dei voti, contro il 41 dell’ex First Lady. Nelle native Hawaii è un tripudio (Hillary aveva sperato nel miracolo, ma niente): il 76% è un risultato pesante. Per le isole, inoltre, il momento è importante: sempre, le votazioni per le primarie sono fino ad ora arrivate quaggiù alla fine,a conti e giochi fatti. Oggi le isole hanno invece votato nella consapevolezza che i giochi sono aperti, e che il supporto è decisivo. Dall’altro lato del mondo, ma fa assai meno notizia mediatica e ha sempre solo un trafiletto di attenzione, il meno colorito John McCain ha stracciato Mike Huckabee nel Wisconsin e nella seconda parte delle primarie dello Stato di Washington, dove si era già imposto il 9 febbraio anche se di stretta misura, e adesso ha vinto con margine maggiore.

Dio è morto. Marx pure. E Fidel… al momento manda i suoi saluti

Fidel Che
Se si prova ad andare sul sito del quotidiano Granma, la rete oggi impazzisce un po’. Fenomeno poeticamente noto come impallamento. República de Cuba. La Habana Año 12 Nro. 3045. Martes 19 de Febrero de 2008. Actualizado: 8:30 a.m. @ 605 “Año 50 de la Revolución”. Il sito è poco agibile. Chissà quanti click avrà totalizzato. Noto ora che anche, ad esempio, RaiNews24 linka al sito. Da tutto i, mondo, in tutto il mondo, staranno leggendo. O provando ad effettuare l’accesso.
E’ già storia, anche se pubblicato appena questa mattina. La lettera con cui Fidel Castro rinuncia alla presidenza di Cuba chiude un’era. Dopo 49 anni al potere, Fidel Castro annuncia sull’edizione online del quotidiano Granma, ufficialmente e senza smentita che, insomma, rinuncia alla carica di presidente. Potere che Fidel non esercitava, causa malattia, da ormai 19 mesi. Sulla malattia, il più stretto segreto di Stato.

Comunico ai miei compatrioti, che in questi giorni mi hanno fatto un grande onore eleggendomi a membro del Parlamento, che io non aspirerò né accetterò – ripeto – non aspirerò né accetterò la carica di presidente del Consiglio di Stato e di comandante in capo

Ed ecco che, ufficialmente, si apre la transizione.

Primarie USA: Nel nome del padre (di Bush)

Il bello delle primarie americane, o meglio statunitensi, è che sostanzialmente quando non ci sono voti in prossimità, ma si sta solo cercando di preparare la prossima votazione e quindi la campagna elettorale abbinata alla stessa, si vedono i volti più noti e maggiormente disparati andare ad appoggiare questa o quella fazione.

Supponiamo, ad esempio, che Robert De Niro domani si svegli e decida improvvisamente di pronunciare al pubblico la propria posizione politica e di affermare che cosa si prepara a votare sia alle primarie sia alle successive elezioni. Tutti i fan di “Rob” a quel punto saranno come stregati dalla sua posizione politica e inizieranno a pensare che forse De Niro non ha tutti i torti a votare l’una o l’altra fazione.

E’questo il bello della presidenziale “Made in USA”. Che la gente, la popolazione ci tiene. Vuole votare e per farlo è disposta a mettere il proprio faccione in primo piano. Ma con simpatia. Con la voglia di mostrare a tutti che si vota una determinata fazione o persona perchè lo si crede veramente, non perchè lo si è costretti a fare o perchè è così da una vita. E vi assicuro che in Italia, almeno ai miei occhi, ogni giorno che passa è sempre più così.

USA: La spintarella di Romney

Parlare di elezioni USA e non discutere di Democratici mi farà divenire impopolare tant’è che infatti tutti i lettori che si aspettano anche solo una parola su Obama e Clinton farebbero meglio non leggere oltre. Oggi si parla di Repubblicani, argomento che di sicuro mi farà divenire impopolare, ma che mi sembra giusto trattare visto il solito silenzio che viene buttato su questi candidati da parte dei media internazionali.

Per una volta non è così. Anche perchè sembra che la corsa verso l’elezione di novembre alla casa Bianca abbia preso una piega a senso unico. Direzione intrapresa grazie all’intervento di Mitt Romney, anche egli candidato alla presidenza.

Vediamo di fare un po d’ordine, un ripasso della situazione ci sta visto che non siamo abituati a parlare di loro. Se dalla parte democratica la lotta è voto a voto, dalla parte repubblicana la partita sembra già vinta, con John McCain ampiamente in vantaggio con oltre 800 delegati seguito da Mike Huckabee con 217.

Poor Hillary. Aspettando il Texas, l’Ohio e McCain al varco

Hillary Obama
Comincia a diventare quasi imbarazzante. Obama ha vinto di nuovo. Hillary è sconvolta. E si interroga e si arrovella.
Il bello, giovane e di colore ha, di nuovo, riportato un risultato di tutto rispetto. Nettamente, precisamente, direttamente e certo con non poco clamore. Con numeri che fanno riflettere. Obama ha stravinto anche nel Potomac. La zona si appella in cotanta buffa maniera dal nome del fiume che la attraversa. E corrisponde a pesanti e strategici bacini di elettorato: Virginia, Maryland e il Distretto di Columbia dove c’è la capitale Washington.
I numeri, a occhio e croce, affondano la senatrice: a Washington ha portato a casa un magro 24%, mentre in Virginia il 36. Soprattutto in quest’ultimo Stato, i suoi pronostici erano ben differenti. Testa a testa, sperava supponeva e calcolava. Negli ultimi 7 – e non sono pochi – Stati in cui si è votato negli ultimi giorni, Obama non solo ha stravinto, ma ha lasciato Hillary a bocca asciutta. Barack in vantaggio, con tanto di maggioranza con i 168 delegati di ieri.

Primarie USA: Volata finale

Ormai ci siamo. Se fossimo nel ciclismo potremmo dire ufficialmente che siamo appena passati sotto l’insegna dell’ultimo chilometro di una tappa di pianura. I velocisti sono nelle primissime posizioni pronti a partire, i gregari si sono messi in disparte tranne quei pochissimi “eletti” che tireranno il loro compagno di squadra fino a poche centinaia di metri dalla linea del traguardo.

Il traguardo è lì, poco lontano, e sembra proprio che i candidati destinati alla vittoria per i loro schieramenti saranno Barack Obama e John McCain. Cerchiamo di capire come le situazioni stanno andando da entrambe le parti.

Obama, Hillary, Hillary, Obama. M’ama non m’ama. Nel segno della profezia nera

Clinton Obama
La soap delle presidenziali continua. All’ultima sfida, e soprattutto sovrastata in modo ormai imbarazzante dalla forza comunicativa, di proposta, di spessore, e perchè no di diversità e giacchè anche un pizzico di maschia virilità dell’incubo delle notti della senatrice: Barack Obama.
La povera Hillary è stata schiacciata dal rivale della stessa casa madre in altri 4 Stati. Louisiana, Nebraska e Stato di Washington sabato, e domenica, ciliegina sulla torta, il Maine, 24 soli delegati in palio, ma un’altra tessera nel puzzle democratico che è più di un sassolino nella scarpetta di Hilary.
Obama, nel Maine, ha portato a casa il 62% dei consensi, mentre la Signora Clinton solo il 38. Poco meno del doppio. Numeri del genere stanno estremamente scottando all’ex First Lady. Sostanzialmente, così tanto certo non se lo aspettava.

Super Martedì, Super pareggio tra Obama e la Clinton

Clinton Obama
L’hanno chiamato tsunami, terremoto, onda anomala. Barack Obama, secondo alcuni – ma è sempre suonato strano, per i meno frettolosi e i più morigerati – doveva, secondo alcuni soldaggi, travolgere e stravolgere.
I sondaggi sono la vera anima nera di queste presidenziali infinite targate USA. Per quanto, spezzando una lancia a favore, l’utilizzo mediatico degli stessi sia plausibilmente un’insana ricerca dello scoop. Fatto sta – e l’avevano detto, anche questo – che il tanto atteso Super Martedì non ha ribaltato una beata fava. Lo stesso Barack aveva pronosticato il sostanziale pareggio poi verificatosi. Mentre Hillary, ora, ancora per un attimo, allontana i suoi incubi peggiori.
Nelle più grandi (e più esposte all’overdose mediatica) primarie della storia presidenziale Usa, con tanto di 24 Stati con in palio più di 3000 delegati, il singolar tenzone ha portato a casa un sostanziale pareggio.

Super Martedì: la prima donna contro il primo afroamericano. Agli elettori l’ardua sentenza

Obama vs Clinton
Il leggendario Super Martedì è arrivato. Così come la resa dei conti, finalmente. La sfida Hillary-Barack alla svolta. Forse.
Hanno ultimamente fatto i fidanzatini sulla Cnn. Deliziosi e delicati uno nei confronti dell’altra, con alcune tematiche ancora lì a dividerli ma con un approccio assai differente dalla rissa, che pure li aveva visti protagonisti. Uno stil novo che ha fatto parlare della possibilità di dream ticket.
Alla vigilia della resa di oggi, il Washington Post ha pubblicato i contributi di due famosi scrittori made in USA sui due contendenti del partito democratico. Michael Chabon ha detto la sua su Barack Obama, mentre Erica Jong ha appoggiato Hillary Clinton.

Scommettiamo che… vince Obama?

Vista la pochezza del palinsesto televisivo RAI, scusate lo sfogo ma dopo essere rimasto a casa un sabato sera per alcuni problemi personali mi sono ritrovato a guardare I MIGLIORI ANNI e la carrellata di “mummie”, si potrebbe finalmente riportare in auge un vecchio programma che da tempo non c’è più SCOMMETTIAMO CHE…

E magari farne una bella puntata speciale dove si parli di politica e di SuperTuesday, ovvero il famoso super martedì che sta accompagnando i cittadini americani aventi voto, verso la scelta dei due candidati che concorreranno definitivamente verso la Casa Bianca.

Obama e Clinton da una parte, McCain e Romney dall’altra. Democratici contro Repubblicani. La novità (un candidato di colore e una donna) contro il classico (due candidati bianchi). Insomma in qualsiasi modo la si voglia guardare queste elezioni americane stanno raccogliendo interesse. E non solo sul territorio nazionale ma anche in campo internazionale.

Politically correct, e che ce la si mandi buona

Clinton Obama
Cortesi fino all’inverosimile. La nuova strategia, l’unica possibile, è questa. Hillary Rodham Clinton e Barack Obama dibattono soavemente al Kodak Theatre, dove va annualmente in scena la cerimonia degli Oscar. Il capitolo rissa e veemenza si direbbe superato.
Quesi sembravano non nemici, ma alleati nel loro confronto delizioso. Due vecchie, british amiche che chiaccherano durante l’ora del tè. Hillary è tutta un cuoricino: Abbiamo l’opportunità di fare la storia, cambieremo il nostro Paese, perché penso che uno di noi due finirà con l’essere il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America.
Tanto carini e tanto onesti parevano, che negli osservatori è sorta spontaneamente una domanda e uno scenario possibile. Lo scenario possibile si chiama dream ticket. E vorrebbe dire correre insieme alle elezioni di novembre, naturalmente a diverso titolo: uno come candidato alla presidenza e l’altro alla vicepresidenza.

Bush e l’economia, il binomio difficile

Bush
George W. Bush ha parlato. Di guerra e di economia. Ha parlato per l’ultima volta, ha tenuto il suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione.
E, in verità, sembrava stanco. Enfasi, poca. Promesse, rare. La parabola è al termine, per il Presidente degli Stati Uniti d’America, e si vede.
Dalle emergenze e dagli hot topics non può scappare. Però che fatica. Ha parlato della crisi dell’economia e dell’immancabile questione Iraq.