Berlusconi e la teoria dei ranghi contrapposti

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La campagna elettorale imbastita dal Cavaliere non sembra decisamente in linea con l’ipotesi – strisciante ma data per certa nei numeri – di inciucio, pardon, di governo delle larghe intese con il piddì di Veltroni. Le tecniche comunicative del Cavaliere, tanto efficaci quanto imperscrutabili per molti aspetti, non sono mai state improntate alla fratellanza dei popoli, diciamo così.


E sebbene io sia convinto che una conto è come si decide di comunicare, ed un altro è il progetto politico che – direi inevitabilmente – chi decide di costituire un partito sicuramente ha in mente. Lascerò da parte, per quanto possibile, gli aspetti più squisitamente politici, soprattutto per evitare sofisticazioni o ancora di più rischiare di portare avanti un discorso inconcludente, mancando evidentemente a noi – requisito a mio avviso essenziale per una corretta analisi politicauna visione delle cose in questione da “dentro”.


La riflessione che oggi propongo è legata essenzialmente al modo di “comunicare” il suo pensiero politico del nostro Cavaliere di Arcore.


A partire dalla sua discesa in campo nel 1994, in cui affermò di sentire il dovere di farlo per il bene del paese all’indomani del ciclone Tangentopoli che travolse la prima repubblica, e fino all’avviso di garanzia ricevuto a Napoli che fece di fatto cadere il suo primo governo, Berlusconi aveva portato avanti la sua crociata contro la vecchia politica tutta, proponendosi come il nuovo che avanza.


Ma la prima macchia sul suo pur breve curriculum di politico indusse il Cavaliere a cambiare strategia.


Il susseguirsi poi delle indagini aperte a suo carico – e dei pressochè sistematici rinvii a giudizio – fecero poi definitivamente capire al nostro che l’Italia si era già abbondantemente spaccata in due fazioni: i berlusconisti e gli antiberlusconisti. Consapevole dei meccanismi di creazione del consenso, ma anche della caparbietà del pensiero umano – quando suffragato da ragionevoli argomenti – Berlusconi a questo punto – e qui nasce la mia suggestione mattutina – capisce che “mezza Italia” è virtualmente persa. E decide di giocare su un solo tavolo.


A conferma dell’ammissibilità di questa considerazione invito il lettore – ipotizzandolo antiberlusconista – a chiedersi se crede che esista un gesto, una decisione, un annuncio, in grado di fargli cambiare idea sul soggetto in questione. Ben inteso che lo stesso esperimento è realizzabile con un lettore che “sta” con Berlusconi.


Allora forse il Cavaliere tutto questo lo ha capito, e piuttosto che cercare il consenso dove sa bene di non poterlo conquistare, cerca di allargare la propria area di influenza spingendosi sempre più in là, con dichiarazioni ed atteggiamenti che, aldilà del loro reale valore, chiamano la gente in qualche modo a schierarsi. Perchè?


Perchè capisce che la partita dell’allargamento del consenso si gioca su quella fetta di Italia che della politica non sa che farsene. Quella politica in quanto ideale a cui conformarsi pur di assecondare la propria natura e le proprie ispirazioni direi esistenziali, per intenderci. Lavora dunque costantemente alla costruzione di un partito “leggero”, come lo chiamano gli studiosi.


Relazionandosi con la sua base come se parlasse ad un esercito da condurre in battaglia. E ovviamente un comandante in capo, un sovrano come il Cavaliere appare, non ha la preoccupazione di “convincere” il nemico a saltare la barricata. Anzi, rischierebbe una perdita di consensi di tutti quelli che – ahimè – ci credono davvero alla battaglia. Sia chiaro, una battaglia infinitamente fittizia, mediatica, ma in grado di attirare intorno a sè quanti amano la battaglia in sè, magari per il solo gusto di dire io c’ero, senza conoscerne le motivazioni profonde. O per spartirsi il bottino di guerra.


Ecco allora che chi non vota per lui è un coglione, i comunisti sono il male assoluto, Di Pietro – lo stesso che contribuì a scoprire ciò per cui lui stesso ha scelto di scendere in campo – gli fa orrore, i precari che si sposino con i milionari, l’europa è popolata da turisti della democrazia – la stessa europa di cui fa parte il PPE di cui si fa portabandiera – eccetera eccetera parecchio eccetera. O con me o contro di me.


Pare che funzioni, questo è il problema.

1 commento su “Berlusconi e la teoria dei ranghi contrapposti”

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