Medio Oriente, Abu Mazen – Netanyahu: prove di pace a casa di Obama

Lo scetticismo di molti – non sono certo campate per aria le parole di Aaron David Miller, ex negoziatore Usa, che indica nella eccessiva distanza tra le parti uno dei motivi per cui l’accordo di pace pare difficilissimo – ha motivo – soprattutto storico – di esistere ma gli sviluppi degli ultimi giorni, con i negoziati svolti negli Stati Uniti alla presenza di Abu Mazen, primo  ministro palestinese, Benjamin Netanyahu, primo ministro isareliano e Barack Obama, presidente Usa in cerca del miracolo (dopo l’annuncio della conclusione del conflitto in Iraq, dove le truppe americane presenti presteranno solo opera di formazione e addestramento).

Siete le persone giuste per porre fine al conflitto“: con tali parole, Obama ha accolto i due leader, incitandoli a compiere un percorso da concludersi nel tempo di un anno. Lo stato delle cose è che Abu Mazen e Netanyahu sono già riusciti, nel loro faccia a faccia isolato, senza la presenza di nessun altro, a individuare un modus operandi al fine di portare a compimento l’intero progetto: l’ottimismo alla Casa Bianca circola senza ombra di dubbio, si è trasformato in qualcosa di più non appena i due leader hanno stretto le reciproche mani in pubblico, sotto lo sguardo di Benjamin Franklin.

Non che in passato non ci si fosse trovati in situazioni simili ma in altre cirscostanze – a differenza di quanto accade oggi – l’intenzione di dare un seguito ai formalismi, di rendere concreta l’opportunità sembra più evidente. Non a caso, si è cominciato a lavorare al fine di creare una bozza (di cui terranno segreti i contenuti) che parta dalle differenze per smussarne angoli e sottoscrivere poi un documento condiviso; è stato fissato il prossimo incontro – 14 o 15 settembre – ma non ancora individuata la sede (sarà in Medio Oriente, immediata la proposta di Mubarak di accoglierli in Egitto).

Indiscrezioni e intuizioni portano a ritenere che tra i punti sui quali si sta focalizzando l’attenzione dei due leader, vi sarebbe l’intenzione di lavorare assieme sul versante della sicurezza. Netanyahu osserva Abu Mazen mentre manifesta il desiderio: “Due Stati in cui i popoli possano vicvere ciascuno in pace. E da buoni vicini. Ma una pace vera e duratura sarà possibile solo in seguito a concessioni reciproche e dolorose“. Convincere due leader non è tuttavia tanto problematico quanto convincere due popoli.

Non a caso, proprio nell’istante in cui si schiude l’uscio di una pace “storica”, si spalancano i portoni dell’eterno conflitto: 13 gruppi palestinesi, fra cui le Brigate Ezzedin al Qassam, hanno di fatto dichiarato guerra a Israele. Riferisce il portavoce, Abu Obeidah: “Creeremo un centro di coordinamento per le nostre operazioni contro il nemico sionista che  sarà colpito in ogni luogo e in qualsiasi momento”. Tra le scelte dolorose annunciate con puntualità da Netanyahu, viene da chiedersi quanta capacità di soffrire in silenzio saprà dimostrare ciascuno Stato. Ovvero: si sapranno piangere i morti senza volontà di vendetta?

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