Milano, collaboratrice di giustizia sciolta nell’ acido dalla ‘Ndrangheta – FOTO

Foto: AP/LaPresse

Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia scomparsa da febbraio a Milano, è stata brutalmente assassinata e sciolta in 50 chili di acido in un terreno a San Fruttosio, vicino Monza.

L’episodio è conseguente alle dichiarazioni rese ai pm in seguito all’omicidio di Antonio Combierati, personaggio di spicco della criminalità calabrese.

E’ quanto risulterebbe dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip milanese Giuseppe Gennari e notificata dal nucleo investigativo dei carabinieri a sei persone, tra le quali Carlo Cosco, ex convivente della donna, e Massimo Sabatino, entrambi già in carcere.

I due erano infatti già stati arrestati a febbraio per aver provato,  nel maggio 2009 a Campobasso, a uccidere la donna. Gli altri quattro arrestati sono i fratelli di Carlo Cosco, Giuseppe detto “Smith” (accusato anche di spaccio di stupefacenti) e Vito detto Sergio, e altre due persone, per una delle quali l’ accusa è solo di distruzione di cadavere.

Già nel maggio 2009 la Garofalo aveva subito un tentativo di sequestro, riuscendo però a mettere in fuga il sequestratore. La figlia Denise ricorda, infatti, la volta in cui venne in casa un tecnico inesperto – “sembrava non sapere dove mettere le mani” – il quale aveva insospettito la madre: a tal punto sul chi va là, la donna, che dopo un po’ l’avrebbe persino invitata, se voleva ucciderla, a farlo subito.

A questo punto, l’ uomo si sarebbe scagliato contro la donna, tentando di strangolarla e ignorando che questa fosse pratica di arti marziali: oltre a ciò, accadde nella circostanza che in soccorso della Garofalo vi fosse la figlia. Quest’ultima, picchiando l’ uomo con forza, lo aveva indotto alla fuga.

Stando alle indagini, Carlo Cosco avrebbe organizzato l’ agguato mentre la Garofalo si trovava a Milano con la ragazza. Il piano sarebbe stato predisposto da Cosco almeno quattro giorni prima del rapimento; l’eliminazione del cadavere sarebbe stata decisa per simulare una scomparsa volontaria e non far ricadere sospetti sugli assassini.

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