L’addio di Walter


Veltroni si è dimesso. E’ ufficiale, già da ieri.

Ecco il discorso di Walter Veltroni oggi, alla conferenza stampa di ufficializzazione delle sue dimissioni da segretario del Partito Democratico. Veltroni solo, Veltroni che parla al suo popolo. Veltroni che lascia. Veltroni pacato. Veltroni, a modo suo, senza mezzi termini.

Pacatamente, serenamente. Dopo il salto.

Il Partito Democratico è nato con più di dieci anni di ritardo. Il Partito Democratico è nato in un momento particolarmente difficile della storia del nostro Paese. E’ nato dalla generosa decisione di due partiti di farlo nascere. Ma chiunque di noi abbia creduto in quest’idea, chiunque di noi abbia pensato che questa fosse l’idea giusta per il futuro del nostro Paese, non può non sentire il rimpianto perché quest’idea non è cominciata quando doveva cominciare. E doveva cominciare dopo la vittoria alle elezioni del 1996. Doveva iniziare quando, con Romano Prodi, fu avviata e messa in campo l’idea di una sintesi e di un incontro dei diversi riformismi del nostro paese.

Oggi il Pd è nato. Ed è nato con quello straordinario episodio e momento di democrazia che sono state le elezioni primarie del 14 di ottobre. E quando è nato il Pd, almeno per me che, da dieci anni, aspettavo, speravo e sognavo che nascesse, è stata la realizzazione di un sogno politico, cioè l’idea che potesse esserci, in questo nostro paese, un partito che avesse l’ambizione – uso le parole che ho usato a Spello, un anno fa, parlando di fronte a quel meraviglioso scenario di bellezza italiana che, come tante parti del nostro Paese, Spello racchiude- non di cambiare un governo, ma di cambiare l’Italia. Perché, in fondo, la radice dei nostri percorsi, delle nostre storie, della nostra identità, deve essere animata da questa ambizione. L’ambizione di cambiare e trasformare questo paese. Di farlo tanto nuovo quanto è la sua bellezza e la sua qualità.

Quando, durante la campagna elettorale, concludevamo cantando l’inno d’Italia, non era solo un atto d’omaggio retorico: era il contrario. Era dire: il Partito Democratico è il partito del destino dell’Italia. Non posso dire il partito dell’Italia, perché sarebbe una contraddizione con quello che penso, ma è un partito che dal suo simbolo e dai colori del suo simbolo e le sue scelte assume su di sé il destino di un Paese che prima o poi dovrà conoscere la stagione di un grande cambiamento. Quello che all’Italia è mancato, è mancato dal dopoguerra: perché la maledizione di questo paese è stata di non aver mai potuto conoscere un ciclo di azione riformista che cambiasse radicalmente. Che cambiasse la scuola, lo stato sociale, il modo di essere, persino il senso comune, come accade quando ci sono quelli che in altri paesi si chiamano “cicli politici”. Da noi anche quando i cicli sono durati a lungo – il ciclo di Berlusconi dura da tantissimo tempo, sono quindici anni di ininterrotta occupazione del potere, al governo o all’opposizione – le cose non cambiano. Secondo l’attuazione del Gattopardo: Cambiare tutto, e non cambiare nulla.

Guardate, siamo tutti rimasti colpiti dal successo della destra. So che la destra dà di questo un’interpretazione un po’ – come posso dire… – semplice. C’è qualcosa di profondo nella società italiana, qualcosa che anche a me diventa difficile capire. Lo dico sinceramente, mi espongo a tutte le contumelie dei Cicchitto e dei Gasparri di turno. Ma per come sono fatto, per la mia storia, per la mia cultura, diventa difficile capire e immaginare che, nel mio Paese, il Presidente del Consiglio possa andare in un luogo a fare campagna elettorale e dire cose come quelle che ha detto a proposito di Eluana – non entro qui nel merito della vicenda. Che il Presidente del Consiglio possa dire (una frase che a me ha fatto accaponare la pelle e per la quale ho preso carta e penna e scritto un articolo in quei giorni) – come ha detto: ‘l’impressione è che ci si voglia togliere di mezzo una scomodità’.

Penso che, se in un altro paese un Presidente del Consiglio avesse detto questo e tutto il resto, l’opinione pubblica avrebbe reagito. Da noi, invece, Berlusconi ha vinto – diciamoci la verità – ha vinto una battaglia “di egemonia” nella società.

Noi dobbiamo, tutti quanti insieme, superare personalismi, divisioni. Lo sforzo che ho cercato di fare, e che spero possa essere portato a compimento, è anche di passare – fatemi utilizzare queste espressioni in questo momento – da una sinistra “salottiera”, giustizialista, pessimista… e sostanzialmente conservatrice, ad un centrosinistra che fosse non giustizialista ma legato al valore della legalità come valore assoluto in ogni campo della vita pubblica. Non conservatore ma innovatore, che avesse la voglia di portare il suo sistema di valori dentro la sfida della società. Ad una sinistra che non fosse salottiera, ma recuperasse il gusto del rapporto con la vita reale delle persone. Vedete, quando io, in campagna elettorale andavo a pranzo a casa di una famiglia di operai di Piombino o di pescatori di Trapani, non lo facevo solamente per il piacere di farlo. Lo facevo perché cercavo di trasmettere quest’idea. Fuori dalle stanze, dentro la vita reale delle persone, dentro i bisogni le ansie. (applauso)

Però io non sono riuscito a fare tutto questo. Allora, come nel mio sport preferito, come si fa nel basket quando si fa un fallo, si alza la mano e ci si assume per intero la responsabilità. E io sono qui per farlo, per assumermi tutta intera la responsabilità. Ieri abbiamo discusso e ringrazio veramente con affetto tutti i membri del coordinamento, per le parole che hanno detto per cercare di non far avanti questa mia intenzione. Ma sono convinto che questa scelta, per me dolorosa, sia la scelta giusta, anche per mettere al riparo il progetto del Partito Democratico da ulteriori tensioni, da ulteriori logoramenti. E per consentire – era evidente, nelle ultime settimane  – che in qualche misura si dovesse aprire una pagina nuova perché si potesse realizzare un nuovo clima di solidarietà, di dialogo e di convergenza fra tutti. Penso e spero veramente che questa mia decisione possa aiutare, anche per le motivazioni che la accompagnano, l’affermazione di un’idea della politica di questa natura. E – scusatemi se dico questo – per tutte le cose che bisognerà fare in questo paese. Per la riforma degli ammortizzatori sociali, perché probabilmente bisognerà rivedere il sistema pensionistico. Perché bisognerà fare quella grande rivoluzione ambientale alla quale Ermete ha lavorato in tutti questi anni con Roberto e con molti altri. Per tutte queste ragioni, perché bisognerà dovremo avere un sistema della cultura e dell’informazione più ampio…

Per tutte queste ragioni non c’è bisogno e non si può mettere insieme tutto e il contrario di tutto. C’è bisogno di credere nella possibilità che sia il messaggio riformista a prevalere, i suoi valori.

Mi sono sentito dire spesso, in queste settimane: devi fare un’opposizione più dura. E mi sono ricordato che era la stessa cosa che si diceva a Enrico Berlinguer, che certo era insospettabile. Un po’ per la gentilezza dei suoi modi, per la sua caratteristica umana, persino per il suo sguardo. Un po’ perché anche in quel tempo chi era all’opposizione (non poteva farlo per ragioni storiche) però cercava di coltivare quell’ambizione di fare opposizione preparando l’alternativa. Si può fare opposizione urlando. Ma guardate: non c’è opposizione per chi sta al potere preferisce che l’opposizione degli urlatori. L’opposizione, che costituisce un pericolo per chi governa – se ha il segno che ha oggi la destra italiana – è l’opposizione riformista. Sempre nella storia dell’occidente sono stati i riformisti il bersaglio della conservazione, da tutti i punti di vista. Non quelli che fanno le parole ma quelli che possono cambiare concretamente il corso delle cose.

Quello che posso garantire a chi verrà dopo di me, è che vale per me un principio antico: non fare agli altri (non posso dire ‘quello che non vorresti’…) quello che è stato fatto a te. Io non lo farò. (applauso) Il Pd è e resta la ragione politica della mia vita. Ho fatto il possibile, ce l’ho messa tutta, anche il fisico, ma non è bastato. Di questo veramente mi scuso e mi assumo ogni responsabilità.

Una sola cosa: non bisogna tornare indietro. (applauso) Non venga mai, in nessun momento, la tentazione di pensare che c’è un ieri migliore dell’oggi. Oggi, con tutte le sue traversie… come si dice… ‘parevan traversie ed erano opportunità’… Oggi ci sono le condizioni perché questo partito possa finalmente realizzare quel sogno, e cioè una maggioranza riformista in questo paese. Non una maggioranza del Pd: una maggioranza riformista. in questo paese. Se torniamo indietro, questo sogno svanisce. E bisogna continuare ciò che è giusto.

Al gruppo dirigente, e a tutti noi, io voglio solamente dire: amatelo di più, questo partito, amatelo il più possibile. Innaffiate questa pianta, state uniti per cercare di farla più forte. Per quanto mi riguarda, l’ultimo grazie è agli elettori delle primarie che mi hanno dato la loro fiducia. Ai 12 milioni di italiani che hanno votato per noi alle elezioni. Alle migliaia di persone che in queste ore hanno mandato dei fax. Tutto quello che ho cercato di fare nella mia vita è stato pensando a a questo gigantesco e meraviglioso tesoro che è non solo per noi, ma per la democrazia, il popolo che crede nei suoi valori e nei principi, nella giustizia sociale, diritti… Sono qualcosa di molto importante, senza le quali questo paese sarà più povero.

Ma il Partito Democratico crescerà per l’Italia quella stagione che il nostro paese non ha mai conosciuto, e che è la stagione in cui il riformismo si fa maggioranza.

Grazie

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