Il Capo dei Capi 2.0

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La risposta ai provocatori murales raffiguranti il boss Matteo Messina Denaro in stile Andy Warhol non dice tutto della situazione sociale del sud Italia, ma quasi. Pochi giorni dopo la diffusione della notizia – e delle immagini multicolori – dell'”apparizione” di disegni dell’erede di Bernardo Provenzano su alcuni muri della città di Palermo, quegli stessi muri, di quella stessa città, hanno cominciato ad ospitare alcuni poster con la celeberrima fotografia dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a colloquio durante una conferenza, accompagnata dalla scritta “Nel vostro ricordo per arrestare tutti i latitanti”.


La scelta dei due magistrati martiri, la cui storia è emblematica dell’impegno che gli uomini possono portare avanti nella lotta alla criminalità organizzata, è obbligata. A tutt’oggi, sono loro – unitamente agli uomini che con loro hanno perso la vita per la stessa causa – i simboli dell’antimafia in Italia. Giusto. L’iniziativa altamente simbolica portata avanti dall’associazione Contromafia, promotrice dei “contromurales”, è lodevole, però…


Però, riuscite ad immaginare se al brand del boss fosse stato accostato il nome, la faccia, una foto di un giudice impegnato nella lotta alla mafia oggi?


La Procure dell’intera Sicilia sono portate avanti da loro, perchè la scelta non è ricaduta su di loro? Però il mio interrogativo, con intento volutamente provocatorio, impone una riflessione forte, allo scopo di cercare di “tastare il polso” del sentimento di scoraggiamento quando non di totale abbandono, che pervade quelle comunità colpite – più o meno silenziosamente – dai fendenti delle mafie.


Il controllo del territorio operato attraverso il racket delle estorsioni, il monopolio dei cantieri edili, le sanguinose guerre tra clan, il traffico di sostanze stupefacenti hanno caratterizzato la penultima mutazione criminale della mafia. Erano i tempi della “Pizza connection” e la Palermo criminale si ricopriva d’oro bianco e nero. Cocaina ed eroina. Oggi stiamo assistendo, a mio avviso, ad un fenomeno inedito. Così come negli anni sessanta si era consumato il definitivo passaggio dalla mafia agricola a quella metropolitana, oggi sembra essere arrivato il tempo di un’altra metamorfosi: dalla mafia che spara a quella che si autocelebra, si pubblicizza, si vende, se mi passate il termine.


Fermo restando il minimo comune denominatore della prevaricazione come stile di vita, e di tutte le attività illecite delle organizzazioni criminali, qualcosa oggi è cambiato. Nella percezione della gente. I murales raffiguranti Messina Denaro sono sui muri della cattedrale di Palermo da oltre 3 mesi! Ma finchè la notizia non è stata notata dal mainstream, non esisteva. Ci risiamo. Tutto ciò che non sai è vero, ama ripetere Beppe Grillo da tempo per portare avanti la sua battaglia contro la disinformazione dei media tradizionali. Può essere. Ma aldilà di questa “svista arbitraria”, ci s’interroga.


Perchè nei giorni della messa in onda della fiction “Il capo dei capi” – incentrata sulla vita di Bernardo Provenzano – molti ragazzini, e non solo, mostravano di subire il fascino del boss? Perchè lo stesso allure riesce ad intercettare i sentimenti dei giovani campani, abbagliati dal lusso in cui ‘O Sistema soltanto è in grado di farli vivere? Azzardo un’ipotesi. Sarà forse perchè laddove lo Stato viene tuttalpiù percepito come impotente, indifferente se non colluso, in assenza insomma di un riparo etico prim’ancora che giuridico, si crea quell’humus ideale in cui il sogno ed il bisogno entrano pericolosamente in contatto?


Banalmente, una comunità in cui lo “sbirro” deve fare sempre qualcosa per sdoganarsi da questa etichetta, è una comunità disorientata. Che crede che Messina Denaro o il clan dei Casalesi siano come Tony Montana o i Sopranos, dei duri che sanno quello che vogliono e come prenderselo.


Ecco allora quel quasi a cui accennavo all’inizio: che ci piaccia o no, i quindici minuti di celebrità di warholina memoria oggi spettano ad un boss vivo e due magistrati morti.

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