Ciarrapico attacca Fini: “Ha ordinato le kippah?” – VIDEO

L’antisemitismo di cui è stato accusato Giuseppe Ciarrapico, senatore del Popolo delle Libertà, trae origine dalle parole pronunciate dall’imprenditore in occasione del dibattito in Senato (dopo i 342 sì messsi in cascina alla Camera, a Palazzo Madama 174 sì, 129 no) sulla fiducia all’esecutivo. Si dice spesso che tutto ha un limite. Salvo sperimentare che la soglia stessa, di quel limite, si trasforma in confine facilmente valicabile.

In un attimo: spariscono vergogna, pudore, decenza, decoro. Che l’agone politico possa giustificare ogni situazione, è tutto da vedere. La crisi interna alla maggioranza, vero, rischia di intoppare la marcia – spedita solo fino a qualche mese fa – del governo presieduto da Silvio Berlusconi; Gianfranco Fini e la truppa di finiani confluiti in Futuro e Libertà (martedì appuntamento per sancire la nascita della nuova forza politica) ne sono – anche questo, dato inconfutabile – i principali responsabili. Tuttavia.

In un contesto surreale, che somiglia parecchio di più alla risultante approssimativa di frasi fatte piuttosto che alla naturale diatriba di un paese civile, succede che – se c’è da prendersela con qualcuno – ce la si prenda con i soliti noti. Stavolta, gli ebrei. Associati (ne sarebbero – si legge tra le righe – la causa) alle nuove convinzioni politiche di Fini.

Fini e i finiani torneranno nell’ombra – dichiara Ciarrapico – andremo a votare e vedremo quanti voti prenderà il transfuga Fini. I finiani hanno già ordinato le kippah (copricapo ebraico)? Perché di questo si tratta. Chi ha tradito una volta, tradisce sempre“.

Viene da chiedersi se lo stesso effetto si riproduce in chi straparla una volta.

Prosegue Ciarrapico, rivolgendosi a Berlusconi: Ella, signor presidente, pensava che fosse casuale quel rinnegamento? No, era necessario, perché era stato impartito un ordine: non farci raggiungere i fatidici 316 voti. Non erano quindi rinnegati casuali, erano rinnegati mandati, erano rinnegati che avevano un compito da svolgere, signor presidente; 35 parlamentari che non sarebbero stati eletti se non li avesse fatti eleggere lei e torneranno nell’ombra, come nell’ombra tornerà quella terza carica dello Stato che ella molto generosamente gli aveva affidato. L’onorevole Fini può darsi pure che svolga una missione, ma è una missione tutta sua personale, se la tenga. Io mi metto la kippah quando vado al Museo dell’Olocausto, non per passeggiare. Fini, a Gerusalemme, quando disse che il fascismo è il male assoluto, passeggiava con la kippah. Non ho nulla contro gli ebrei. La mia famiglia ha l’albero dei giusti perché abbiamo difeso e nascosto gli ebrei quando erano perseguitati. Conta la storia personale, è quella che resta“.

L’ANTEFATTO. Il presidente della Camera, a Gerusalemme, andò il 23 novembre del 2003: in quella circostanza, visitò lo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto, e lo fece indossando la kippah. Fu un taglio netto con il passato politico e ideologico che aveva radici in Alleanza Nazionale (prima ancora, nell’Msi). Fini pronunciò testuali parole: “Nessuna giustificazione per i carnefici di ieri nè per chi poteva salvare un innocente e non lo fece. Furono pagine di vergogna nella storia del nostro passato. Bisogna denunciarlo per capire la ragione per cui ignavia, indifferenza, complicità e viltà fecero sì che tantissimi italiani nel 1938 nulla facessero per reagire alle infami leggi razziali volute dal fascismo“.

REAZIONI. Immediate, repentine, bipartisan. Nessuno si è sottratto a ufficiale condanna delle parole pronunciate da Ciarrapico. Dai banchi della maggioranza (Fabrizio Cicchitto, capogruppo PdL alla Camera: “Le parole del senatore Ciarrapico sono totalmente inaccettabili“) a quelli dell’opposizione (Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd: “Anche questa una battuta infelice? Chiediamo al presidente del Consiglio di dissociarsi ufficialmente di fronte al Parlamento e in modo chiaro e netto dalle inaccettabili dichiarazioni antisemite rese oggi dal senatore Ciarrapico nell’aula del Senato“): nessuna giustificazione. Dissociazione unanime. In attesa (le ha chieste Ignazio La Russa) delle scuse ufficiali.

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