Cena coi giudici, Napolitano si smarca

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Napolitano non ci sta. Una comunicazione diretta e chiara, senza mezzi termini: giudici a cena con Berlusconi, il Quirinale fa sapere che

un intervento del presidente della Repubblica che interferirebbe nella sfera di insindacabile autonomia della Corte Costituzionale

Il giudice costituzionale Luigi Mazzella ha invitato a cena: Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, un altro giudice costituzionale, Paolo Maria Napolitano, e il senatore Carlo Vizzini. E si è scatenata la polemica: due giudici dell’Alta Corte che incontrano questi rappresentanti proprio a poco tempo di distanza dall’analisi della costituzionalità del Lodo Alfano (a settembre). Al merito, naturalmente, un’interrogazione parlamentare di Antonio Di Pietro, leader dell’Idv che aveva chiesto l’intervento di Napolitano.

Ecco uno stralcio della lettera che, invece, Luigi Mazzella ha inviato al premier.

Caro Silvio, siamo oggetto di barbarie. A parte il fatto che non era quella la prima volta che venivi a casa mia e che non sarà certo l’ultima fino al momento in cui un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali…

Ricordate l’appello di Napolitano ad una pace in vista e in attesa del G8. Tregua politica tra maggioranza e opposizione? Ora il conflitto sbarca e coinvolge la Corte costituzionale.

6 commenti su “Cena coi giudici, Napolitano si smarca”

  1. Questo Napolitano si rivela essere uno dei peggiori Presidenti della Repubblica mai avuti. Sempre a fare l’equidistante, non prende mai una presa di posizione chiara e netta, a difesa della Costituzione, della quela dovrebbe essere il garante.

  2. Proposta di lettura.

    La Corte Costituzionale
    Scritto da Gianni Pardo

    …La legge fondamentale dello Stato è la Costituzione. Essa contiene norme precisamente giuridiche – per esempio la durata della legislatura o i poteri del Presidente della Repubblica – e norme che, per così dire, sono “letteratura politica”. Un esempio è l’art.2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo… e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Il verbo “riconosce” implica che quei diritti esistano prima che lo Stato li costituisca: dunque si tratta di una riaffermazione del “diritto naturale” il quale, come si sa, è un’entità metagiuridica o, più semplicemente, mitologica. La stessa “solidarietà sociale” non è un concetto palpabile e corrisponde più o meno all’invito ecumenico “siate buoni”. Tutto questo non è giuridico.

    Nel 1948 si è prevista una suprema autorità incaricata di vigilare sulla conformità delle leggi alla Costituzione stessa ma la Corte Costituzionale, in conseguenza della doppia natura del testo, opera in una direzione giuridica e in una direzione politica. Se il Parlamento approvasse una legge con la quale, senza modificare la Costituzione, si prolunga la legislatura a sei anni, la Corte avrebbe gioco facile ad annullarla in quanto in contrasto con l’art.60. Viceversa, quid iuris se qualcuno sollevasse questione di costituzionalità riguardo alle differenze di stipendio dei lavoratori, sulla base della “pari dignità” dei cittadini stabilita dall’art.3? La questione non è peregrina: nell’Unione Sovietica un ingegnere guadagnava più o meno quanto un operaio. Dunque la decisione al riguardo non è giuridica, è politica. Se la Corte rispondesse che “la paga deve corrispondere all’utilità prodotta” avrebbe adottato l’economia classica; se rispondesse che la paga deve essere uguale per tutti, come tutti sono uguali, avrebbe adottato il punto di vista sovietico; se rispondesse che deve corrispondere ai bisogni del lavoratore, magari pagando di più l’operaio con cinque figli e di meno un ingegnere scapolo, avrebbe adottato il marxismo utopistico. Come si vede, anche l’uguaglianza dei cittadini si presta a punti di vista molto diversi.

    La Corte Costituzionale è un organo politico. Quando hanno immaginato un giudice assolutamente al di sopra delle parti, i padri costituenti sognavano. E non perché i giudici costituzionali siano scorretti: semplicemente perché, in campo politico, non esiste e non può esistere obiettività.

    La riprova di tutto questo si ha nel modo di elezione dei giudici costituzionali: ogni volta che ne viene a mancare uno, in Italia scoppia una guerra che può durare mesi o anni. Fino ad innescare persino pittoreschi scioperi della fame di Pannella. Ogni partito politico, ogni fazione sa che dal nome scelto dipenderà il genere di decisioni del supremo organo e dunque combatte a morte, fino all’ultimo, in difesa dei propri principi politici e morali. Berlusconi anni fa ha potuto dire che la Corte Costituzionale gli era pregiudizialmente ostile e non importa quanto il fatto fosse vero: importa che fosse perfettamente verosimile.

    La conclusione è mesta. Se la Corte Costituzionale è un organo politico, essa corrisponde alla maggioranza che l’ha nominata, al massimo con lo sfasamento dovuto ai tempi della legislatura e ai tempi di permanenza in carica dei giudici. Ma sia che essa corrisponda, come colore politico, alla maggioranza del tempo, sia che essa non le corrisponda, il fatto è patologico: perché in un caso sosterrà la maggioranza anche quando facesse qualcosa di sbagliato, in un altro caso le andrà contro anche quando avesse ragione.

    Ecco perché la cena in casa di quel tale giudice costituzionale ci lascia perfettamente freddi. Che costui riceva o no a casa sua dei politici, non cambia il fatto che ne fosse amico. Come altri giudici, nella stessa Corte, sono notoriamente amici dell’opposta fazione. Dov’è la materia del contendere?

    Una maggioranza deve potere governare senza interferenze. In capo a cinque anni sarà il popolo a decidere se confermarla o mandarla a casa. E se qualche legge non piaceva, sarà la nuova maggioranza a cambiarla, così come il governo Prodi cambiò la legge sullo “scalone Maroni”. Non importa se commise un errore: dimostrò che il legislativo le leggi, oltre che crearle, può cambiarle. Non è necessaria una Corte super partes, che è tale solo nei sogni dei costituenti.

    Sarebbe meglio che la Corte Costituzionale non esistesse: sicuramente non è utile, forse è nociva.

  3. Riporto:
    La polemica contro i giudici della Corte Costituzionale accusati di aver cenato con Silvio Berlusconi si ritorce sul leader dell’Italia dei Valori. Il Presidente della Repubblica esclude qualsiasi intervento sulla Consulta in rispetto dell’autonomia della Suprema Corte. E l’azione di Di Pietro assume l’aspetto di una aperta e pressante intimidazione nei confronti della Consulta perché bocci il nodo Alfano

  4. I soliti “sicofanti”
    Scritto da Alessandro Lozzi*

    La cena a casa del giudice costituzionale Manzella, in un Paese che D’Alema definirebbe normale, probabilmente sarebbe stata giudica inopportuna. Nel nostro Paese anormale viene invece definita “carbonara e piduista”. Vale la pena di approfondire la questione. Cominciamo col dire che i giudici costituzionali sono 15. Chiunque volesse condizionarne il giudizio mediante sessioni conviviali dovrebbe quindi sottoporsi non ad una, ma ad un intero ciclo di cene. Povero fegato e povera dieta. Continuiamo col dire che 5 di questi giudici sono nominati dal presidente della Repubblica che, come sappiamo, è una di quelle cariche interessate dal lodo Alfano. Il condizionamento che può esercitare il potere di chi nomina ad una carica è sicuramente molto più incisivo di un buon brasato.
    Dobbiamo ricavarne che i cinque giudici nominati dal presidente della Repubblica dovrebbero astenersi da giudicare il lodo Alfano? Altri 5 sono nominati dal parlamento e sono, quindi, espressione parte dell’oppposizione, che è contraria al lodo, parte della maggioranza, che ne è favorevole. Come possono giudicare serenamente? Meglio che si astengano anche loro. E che dire del caso del giudice Flick che è transitato da ministro della Giustizia del governo Prodi a giudice e poi presidente della Corte? Tutte illegittime le sentenze che hanno interessato leggi proposte e promulgate dal governo di cui faceva parte? La semplice verità è che la nostra Costituzione, scritta da persone equilibrate e non da forcaioli da strapazzo, prevede per i giudici costituzionali dei requisiti professionali, morali e di età che sono la garanzia della serenità e dell’indipendenza di giudizio che la carica richiede. Si può infatti accedere alla carica di giudice costituzionale solo dopo una intera vita specchiata e irreprensibile, dopo aver dimostrato, per una intera vita, quanto si vale come studioso e come individuo non condizionabile. Il resto è veleno.
    Questi avvelenatori sono degli spregevoli figuri, odiatori professionisti che traggono le loro fortune politiche dalla propalazione dei peggiori istinti della natura umana. E sono sempre esistiti: nell’antichità si chiamavano sicofanti. Questi signori nemmeno ipotizzano che la moralità delle persone sta all’interno di ciascuno. E quindi ritengono che i loro teoremi, tanto fantasiosi quanto astratti, debbano diventare norme comportamentali. Seminando il sospetto e il terrore vogliono farci vivere in una società in cui ciascuno sospetti del proprio vicino, in cui viga la presunzione di colpevolezza. L’esatto contrario di quanto prevede una Costituzione liberale come la nostra. Quando questo atteggiamento, tipico di una minoranza, supera il livello di guardia, la coesistenza sociale è a rischio.
    In Italia, la misura è colma da tempo, da quando le piazze urlanti di ‘Samarcanda’ si sono saldate con lo spirito scandalistico di certa stampa, da quando i processi che distruggono le persone si fanno in televisione e nelle pagine dei giornali, da quando le carriere politiche traggono origine non dai partiti, ma dalle procure, da quando la politica è solo antagonismo e non competizione, da quando, insomma, i partiti si limitano a vincere e mai a convincere.
    E’ un fatto che, pensando di avvantaggiarsene, la sinistra italiana abbia sempre flirtato con questi ‘arruffapopoli’. Oggi, è chiaro a tutti che, andata per ‘fregare’, ne è invece rimasta ‘fregata’. Non fa ben sperare il fatto che i due candidati alla leadership del Pd non affrontino nemmeno minimamente la questione: finché la sinistra italiana non supererà questo nodo, inutile dire, il Pd non sarà mai un partito completamente affidabile e l’Italia, purtroppo, non sarà mai un Paese normale.

    *Direttore Responsabile di http://www.laici.it

  5. ULTIME SU DI PIETRO

    Sanzione contro Di Pietro per un incredibile comportamento professionale da avvocato
    Scritto da Carlo Panella
    mercoledì 22 luglio 2009

    …Il moralista Di Pietro è stato sospeso per sei mesi dall’ordine degli avvocati dalla attività forense -che esercita da anni- a causa di una sua palese e incredibile violazione degli obblighi deontologici, riscontrata dall’Ordine degli avocati di Bergamo, così sintetizzata da un’agenzia di stampa: ” All’ex pm di ‘Mani pulite’ – che dopo l’uscita dalla magistratura non ha rinunciato a indossare la toga entrando nell’avvocatura – e’ stata contestata la violazione dell’articolo 51 del codice deontologico che vieta ”l’assunzione di incarico nei confronti di ex clienti”. Il riferimento e’ al processo, svoltosi innanzi alla Corte d’Assise di Campobasso, nel quale Di Pietro era il legale di parte civile per l’omicidio – avvenuto nel 2002 – di Giuliana D’Ascenzo, una sua amica e compaesana di Montenero di Bisaccia. Sul banco degli imputati, il marito della vittima, Pasqualino Cianci, che lo stesso Di Pietro aveva in precedenza difeso. Fu Cianci a denunciare all’Ordine degli avvocati di Bergamo la violazione commessa dall’ex pm.”
    E questo è l’unico alleato che il pd ha voluto portare in Parlamento….

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