L’Aquila post terremoto: oltre 15 mila richieste di cambio residenza

A poco più di un anno dal terremoto che ha colpito (lo scorso 6 aprile 2009) il cuore dell’Abruzzo provocando danni e vittime ingenti (il bilancio definitivo è di 308 morti, circa 1600 feriti di cui 200 gravissimi, circa 65.000 sfollati alloggiati momentaneamente in tendopoli, auto, alberghi lungo la costa adriatica), pare emergere un’amara verità rispetto alle conseguenze devastanti determinate dal sisma. Non morti, non macerie ma storie di uomini e di donne costretti a fare i conti con un futuro tutto da riscrivere.

Nessun lavoro, niente casa, prospettive sempre meno visibili: accade così che tra la polvere e la sepoltura a far le veci di cose ed esseri umani, ci si debba imbattere in racconti che rasentano, per dolore e amarezza, quelle altre vicende. Senza lieto fine. In questo caso i numeroi oscillano tra difetto ed eccesso ma la sostanza resta: l’anagrafe de L’Aquila è sommersa di richieste avanzate da cittadini che intendono cambiare residenza.

Erano 1064 lo scorso 15 luglio e il dato venne reso noto dal consigliere provinciale Angelo Mancini, il quale faceva notare come una fetta di aquilani fosse già accasata altrove e chiedesse solo di aver riconosciuta dalle istituzioni la nuova casa. I luoghi scelti dai transfughi erano quelli delle provincie limitrofe ma pure i paesini più prossimi del Lazio o quelli al confine con le regioni più a nord. Trovare lavoro, ricominciare a vivere: obiettivi per nulla di poco conto custoditi soprattutto nelle menti e nei cuori dei più giovani.

Ad allontanarsi dal capoluogo abruzzese sono i ventenni, i trentenni: ovvero, il futuro della città che fugge in cerca di futuro. Altrove. Numeri che oscillano, si diceva: perchè la convinzione di più di un esponente politico de L’Aquila è che, di fianco agli allontanamenti certificati occorra aggiungere gli abbandoni già effettivi ma non ancora formalizzati. In tal caso, gli aquilani ormai lontani dalla città sarebbero diverse migliaia e almeno quindicimila cittadini sarebbero in procinto di lasciare la propria terra in cerca di miglior sorte.

La paura di molti di loro è quella di non riuscire a reinserirsi nel mercato del lavoro e di farsi trovare impreparati all’appuntamento esattoriale: non dimenticano che dal gennaio 2011, toccherà loro cominciare a pagare gli arretrati delle tasse accumulate dal 2009 al prossimo dicembre. Al fine di ricostruire un tessuto sociale sfaldatosi con le crepe del terreno, il sindaco locale, Massimo Cialente, ha pensato di istituire una nuova delega amministrativa: quella per le politiche sociali e culturali, affidata a Stefania Pezzopane (Presidente della Provincia).

La sensazione, tuttavia, è che nonostante la figura istituzionale creata ad hoc, per ricucire serva molto di più. Il vincolo, in effetti, è trino da sempre: territorio, popolo, governo. In simultanea. Qualora venga meno anche uno dei tre cardini, l’assioma non vale. Così come nasce per costruzione, accade che crolli. Per distruzione. Sparito il territorio, sono rimasti un popolo e un governo ma, nell’incapacità (collettiva, nazionale) di restituire dignità e forma a un contesto geografico, il rischio di passare in fretta da un obiettivo fallito all’ennesimo danno materializzatosi è fortissimo. Questione di attimi: aspetti di rivedere un territorio, sparisce anche il popolo.

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