Islanda senza Bavaglio: Brigitta Jonsdottir oscura la censura

Perchè mai, poi, l’Islanda a luglio avanzato e con i bollori record di uno scorcio d’estate in cui ha fatto caldo “da morire” in tutta Italia, avrebbe dovuto richiamare alla mente qualche forma di prigionia, censura, limite. Bastava assecondare le propulsioni naturali del corpo – che si proietta in quei 103 mila metri quadri di superficie a ridosso del Polo e già si è refrigerato – oppure dare retta alle intuizioni di un cervello che, mentre suda goccioloni che odorano di afa, riesce a ritrovare la frescura necessaria per rodare al meglio anche soltanto immaginando quelle distese di ghiaccio.

Quei materassi gelati ubicati lungo il paesaggio. Quelle acque fredde che – in tempi di 40 gradi all’ombra – solleticano l’idea di sommo piacere. Scevro da ogni limite. Avrei detto così, a chi mi avesse chiesto che ne pensassi di una Islanda che decide di svincolarsi da qualunque forma di Bavaglio. Di limitazione, coercizione. E perchè no: lo insegnano da anni i milioni di ragazzi che prestano servizio volontario a fin di bene, lo ribadiscono le migliaia di associazioni non governative capaci di garantire al contesto sociale balzi in avanti che la politica non saprebbe imitare.

Dall’infinitesimamente piccolo, un messaggio per l’infinitesimamente grande. Parla l’Islanda, stia a sentire il mondo intero (concentrazione, Italia. Concentrazione). E intanto. Viene spontaneo tutelare e fare proprio lo stesso messaggio con cui una bella fetta di mondo – bella perchè è bella anche solo da immaginare – si addormenta la sera. Si sveglia la mattina. “Agire localmente, pensare globalmente” scandisce spesso chi ha voglia di rimboccarsi le maniche. Avrebbe potuto trarmi in inganno il fatto che l’isola sia stata (roba del IX secolo, un’eternità fa) località di eremitaggio (e quindi isolamento, limite) per i monaci irlandesi. Vero. Ma la storia, il passato sono abiti di un guardaroba che si evolve fino a stravolgersi con il passare del tempo.

Allora, che una lezione di civiltà venga messa nei freezer giuridico-costituzionali islandesi per conservarla intatta e poterne raccontare i contenuti ovunque, stupisce fino a un certo punto. Non più e non solo  terra di altopiani sabbiosi e desertici, di montagne e ghiacciai, di mare e pianure. Da qualche giorno, infatti, l’isola è Paese senza Bavaglio, patria di Brigitta Jonsdottir. Anarchica. Capace di lasciare il segno senza le bombe di Gaetano Bresci.

LA SFIDA ALLA CENSURA. L’isola dorme, sono le tre di notte del 16 giugno 2010 e il Parlamento è ancora al lavoro. Sotto esame la proposta della deputata anarchica, Brigitta Jonsdottir, che chiede di tutelare chiunque si renda protagonista di pubblicazioni che svelano segreti di Stato, societari, militari e giudiziari: la giustizia non potrà sospenderne la pubblicazione e i soggetti interessati non dovranno essere perseguiti in alcun modo. Altrove, sarebbe stato come dire “rivoluzione”: sarebbero apparsi i tizi con i fucili e un’ottima mira, ci si sarebbe dovuti svincolare da ostruzionismi costanti, avrebbero riaperto i manicomi. Altrove, non lo si potrebbe neppure ipotizzare.

O, se fosse possibile proporlo, a votare a favore sarebbero poche unità. L’isola dorme, il 26 giugno 2010 mentre i parlamentari siedono ancora tra i banchi. Le cucine dei ristoranti hanno smesso di cuocere pesce da un pezzo quando i deputati vengono chiamati a votare l’Icelandic Modern Media Initiative: se su internet venissero pubblicati documenti di pubblico interesse (fossero anche stati sottratti), i contenuti degli stessi non andrebbero incontro ad alcun tipo di censura. Fossero anche atti che fanno riferimento a vicende che riguardano Paesi stranieri, sarebbero legittimati alla messa in pubblico solo dal fatto che il server su cui poggiano quei siti artefici dello scoop abbia base in Islanda. Ai blogger verrebbe garantita libertà di espressione e una ipotetica Corte straniera chiamata a tutelare l’interesse di un ipotetico diffamato (laddove fosse reo) potrebbe ben poco. Se un giornalista di inchiesta volesse svolgere il proprio lavoro nel migliore dei modi, di punto in bianco potrebbe.

L’isola dorme, il 16 giugno 2010 mentre i parlamentari siedono ancora tra i banchi. Lungo la Hringvegur, strada circolare che abbraccia l’isola, viaggiano una manciata di vetture quando, allo scoccare delle 3 della mattina, i deputati vengono chiamati a votare l’Icelandic Modern Media Initiative. E, per fare un esempio, ci fosse un italiano in possesso di intercettazioni importanti e compromettenti, in attesa di capire che ne sarà del diritto di informazione nel nostro paese, potrebbe semplicemente prendere contatto con uno dei siti specializzati dell’isola. Poi, gli basterebbe inviare qualche fotocopia via posta. O tramite il web. In barba alla legislazione tricolore. Defezioni nell’emiciclo? Pochissime. Sbadigli? Macchè, grilli. Quando l’esito della votazione è stato reso noto, gli occhi di Brigitta Jonsdottir sembravano i più appannati.

Frastornati, increduli. Perchè l’infinitesimamente piccola Islanda ha accolto la proposta dell’anarchica all’unanimità. Azzerando di fatto la possibilità che potesse ripetersi quanto accaduto nell’agosto del 2009. Uno scandalo nazionale capace di partorire, per reazione, l’Icelandic Modern Media Initiative.

LA CAUSA. Estate di un anno fa: la televisione di Stato avrebbe voluto mettere in onda un servizio nel quale sarebbe apparso un documento capace di far tremare i due partiti di centrodestra. Proverebbe, la carta, che i principali istituti di credito siano stati prima privatizzati e poi divisi – uno lo controllo io, uno tu – dagli stessi partiti grazie ad amici in grado di acquisirne la proprietà (con denaro chieso in prestito alle banche stesse). La magistratura blocca il servizio, la tv rispetta lo stop salvo poi riprendere la schermata di Wikileaks (per un giornalista, il paradiso potrebbe avere le sembianze di questo sito islandese specializzato in inchieste) che aveva pubblicato l’atto.

La censura, tuttavia, è la molla che fa scattare le gambe di parte della società civile e di più di un professionista della penna: il sasso è gettato. Differenziarsi dalla Gran Bretagna, che garantisce il querelante più del querelato. Differenziarsi dalla Cina, dalla Birmania (dove il regime controlla direttamente il web) ma anche dal recentissimo passato che consentiva di sovrapporre più che differenziare. Gli anarchici, che sull’isola hanno parecchio seguito e a cui viene riconosciuta pari dignità politica di altri partiti, sono parte attiva della ricerca. Che si trasforma in disegno di legge. Poi in legge (l’iter completo si chiuderà in un anno). Mentre l’Islanda dorme, il 16 giugno 2010, la Repubblica sfoggia un fermento che riescono a percepire solo i nottambuli, i festaioli, quelli che hanno tirato tardi con qualche amico. Con qualche donna.

Sono le tre della mattina quando Brigitta Jonsdottir si scuote come fosse appena stata svegliata da un bel sogno. Che collima con la vita vera: il Parlamento ha appena approvato all’unanimità l’Icelandic Modern Media Initiative. L’isola giace silente su giacigli nei quali i figli dei figli conservano molto spesso i nomi dei padri. Come chiede la tradizione. Si sveglieranno, come ogni mattina,  magari assaporando il rugbraud, un pan di spezie nero con un vago sapore di liquirizia, o uno skyr, sorta di formaggio fresco spesso mescolato a panna e zucchero. Basterà tanto così a percepire un Paese un po’ più libero di prima? Forse no, ma di quanto l’infinitesimamente piccolo sappia assumere – molto spesso – le sembianze dell’infinitesimamente grande lo scopriranno strada facendo. Edicola dopo edicola, click su click, canale per canale.

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