Addio al picconatore

E’ morto un pezzo della storia d’Italia. Qualunque cosa si dica e si pensi di lui, un fatto è chiaro, pacifico, evidente. E mette d’accordo tutti, più o meno esplicitamente. Come mai il presidente emerito ha fatto (e ha voluto fare) in tutta la sua carriera politica fuori dall’ordinario.

Francesco Cossiga porta oggi con sè, in una tomba che vuole dire eternità, i suoi segreti. Che sono quelli di questo paese da più di mezzo secolo. In Italia, in fondo, si è abituati a pensare che funzioni sempre così. Che non possa e in fondo non debba essere altrimenti. Chissà che questo, nel profondo, non ci diverta anche un po’. Nello Stivale, i Misteri d’Italia (titolo della bella trasmissione di Carlo Lucarelli) fanno parte di noi. Della nostra cultura, della nostra formazione. E forse ne siamo anche un po’ gelosi. Francesco Cossiga ha nella sua storia i momenti più difficili (ma quelli che stiamo vivendo sono complicati per altre ragioni, per qualcuno ancora più irreversibili) di questo Paese. Momenti di morti, giustizie e terribili ingiustizie. Momenti di debolezza, di scenari non compresi nello scacchiere internazionale, di passaggi omertosi, di dichiarazioni depistanti, di accadimenti interni pilotati, di casualità a volte per niente tali. Momenti di scelte.

Risbucano fuori nomi che mai sarebbero dovuti cadere nel dimenticatoio. Giorgiana Masi, Pierfrancesco Lorusso, Gladio, piccone, leone. Aldo Moro, Brigate Rosse. La Democrazia Cristiana. E Giulio Andreotti oggi non vuole commentare.

Francesco Cossiga il suo lavoro lo sapeva fare. Essere d’accordo o meno, negativi o meno, avversari o meno non rende meno vera questa affermazione. Il suo lavoro lo sapeva fare. “Può piacere o meno, ma è la biografia di questo Paese. E non era schiavo del potere”, dice Luca Telese oggi. Poteva dire di più, e altro, Kossiga con la K. Non l’ha fatto. Non vuole autorità ai suoi funerali, e nelle quattro lettere lasciate alle istituzioni non troveremo i suoi segreti. Nè troveremo i nostri.

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