Perché in Italia non si riesce a fermare la corruzione?

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Gli ultimi casi tra politica e cronaca rimettono al centro del dibattito la questione della corruzione. L’Expo di Milano ha riportato alla mente i periodi di tangentopoli con nomi, come quelli di Greganti e Frigerio, che pensavamo fossero stati consegnati alla storia. Ma ci sbagliavamo. Un certo intreccio tra affari e politica è sempre presente in Italia, o è meglio dire che non è mai tramontato ed è sempre stato attivo.

 

La questione dell’Expo di Milano si sta allargando alla sanità della Lombardia, con appalti pilotati in diversi ambiti. E qui si torna alle vicende della regione con l’allora governatore Formigoni.

Poi c’è il caso Scajola, con elementi più torbidi che riguardano le accuse di associazione a delinquere e di mafia per Matacena e Dell’Utri, di coinvolgimenti al alt livello e di contatti per la fuga in Libano.

In Italia la corruzione è un problema che non c’è prima, seconda o terza Repubblica che sembra in grado di fermare. Non c’è tangentopoli che possa essere da monito o cambiare le cose. Il fatto della corruzione nel nostro Paese è probabilmente da leggere in termini di sistema, di complessità di relazioni che formano una cultura. Una cultura dei rapporti dei poteri che uno scandalo non può bloccare, che un arresto non può cambiare e che un nuovo governo non può arginare. Il cambiamento culturale è la sfida più difficile perché sembra che se si è inseriti in certi ambienti di potere, e ci si vuole rimanere, non resta che piegarsi alle leggi non scritte.

La battaglia deve certamente essere giudiziaria, perseguendo chi trasgredisce alle regole, ma ci vuole anche un impegno per cambiare la cultura dominante che mette insieme potere, politica e affari.