Berlusconi, Bersani, Fini: voto anticipato sempre più probabile. Il Premier: “Processo breve: così o niente”

Il libro si arricchisce, il tomo assume le dimensioni di una enciclopedia. Non passa giorno che non si parli di voto anticipato. elezioni sì, elezioni no. Strappi un petalo alla volta – le dichiarazioni: Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Pier Luigi Bersani – e il pistillo, prima o poi, verrà svelato nella sua interezza. Oggi pare che ci si debba preparare all’ennesima tornata elettorale.

Non è cambiata – rispetto a ieri – la valutazione che il partito Democratico manifesta nei confronti dell’attuale Esecutivo ma sembra essere più evidente di ieri la volontà di Berlusconi di non trattare modifiche al processo breve. Una sorta di “O così o ritiro la legge”. Prova di forza del Premier, alla base del cui comportamento vi è un elemento su tutti: quello, cioè, di non avere voglia nè motivo per mettersi a discutere con il Presidente della Camera.

Se si tratta di intavolare una trattativa con Fini, il processo breve non mi interessa più. E’ una legge di per sè giusta ma non serve al sottoscritto, che è innocente. Non autorizzo alcuno a discutere con i finiani per conto mio, neppure la Lega Nord“. Parole forti, il cui senso è riconducibile ai sondaggi pervenuti tra le mani di Berlusconi: stando a fresche statistiche, il PdL rischia di assicurarsi la maggioranza assoluta anche in Senato. Quindi, il pensiero di forzare la mano e far saltare il banco è tornato a prendere corpo.

Gli italiani con Napolitano: no al voto anticipato

Voto o non voto? Meglio le elezioni anticipate oppure la stabilità di un percorso esecutivo intrapreso dal Governo Berlusconi e messo in crisi dalle polemiche in seno al Popolo delle Libertà? Stando al parere direttamente interessato dei politici di casa nostra, pare che la voglia di riconsegnare agli elettori matita e scheda non l’abbia più nessuno. Nè l’opposizione, che punterebbe volentieri a sostenere un periodo di transizione nel quale affidare a tecnici (espressione di larghe intese) il compito di modificare la legge elettorale prima di votare di nuovo; nè tantomeno la maggioranza, dove il solo Umberto Bossi (poi convinto del contrario dal Premier) aveva con veemenza sostenuto la necessità di rimettere tutto nelle mani della popolazione.

Elezioni: Berlusconi (PdL) e Fini (Fli), ultimo treno (il voto alletta ma fa paura a entrambi)

Silvio Berlusconi vuole andare al voto: senza indugi, nessun tentennamento. I motivi che il Presidente del Consiglio mette sul tavolo dei referenti del Popolo della Libertà sono almeno tre, ciascuno dei quali da non trascurare:

1. “In questo momento non abbiamo avversari”;

2. “Gli altri, gli avversari non potranno mai coalizzarsi tutti contro di me, da Fini a Vendola”;

3. “Non possiamo stare a contrattare con i finiani su ogni legge”.

Non c’è solo tatticismo, dietro la volontà del leader PdL, ma pare anche lineare il fatto che la nuova prospettiva (fuori i finiani dal partito) consenta di prendere in considerazione uno scenario ovvio: dovesse rivincere le elezioni, il centro destra ne uscirebbe non solo rafforzato ma addirittura invincibile. Perchè tutti – uno per uno – remerebbero nella stessa direzione: quella indicata da Berlusconi.

Ancora: a dare man forte alla determinazione del Premier, i dati diffusi dal fresco sondaggio di Euromedia, realizzato dopo la fuoriuscita dei finiani: i numeri parlano di un Pdl in crescita di due punti percentuali, Futuro e Libertà oscilla in una forbice che va dal 2-3 per cento (in caso di schieramento senza alleanze) all’8-10 in coalizione con l’Udc. Intanto, l’ultimo vertice di Palazzo Grazioli prima delle ferie (non particolarmente lunghe, quest’anno) si è consumato alla presenza dei massimi esponenti di partito cui si sono aggregati i Ministri Giulio Tremonti, Franco Frattini, Altero Matteoli e Angelino Alfano. Oltre a una disamina della situazione è emersa tutta la convinzione di Berlusconi – manifestata, condivisa – di optare per il voto subito: le date attorno alle quali si è ragionato sono nella peggiore delle ipotesi il 27 marzo del 2011 (non a caso, nello stesso giorno del 1994, Berlusconi vinse le prime elezioni a cui partecipò) e nella migliore, a metà novembre. Nell’ultimo caso, il tentativo sarebbe quello di dare la parola ai cittadini prima del 14 dicembre, quando la Consulta dovrebbe bocciare lo scudo del legittimo impedimento.

Il quartier generale del PdL sa bene cosa fare: comizi, reclutamento, divulgazione delle attività di Governo, comitati elettorali, promotori delle Libertà e una macchina da far ripartire in fretta con il lavoro certosino ma efficace di Denis Verdini, Michela Brambilla, Giorgia Meloni e Beatrice Lorenzin. Dovrà essere un martellamento: di numeri, di fatti, di opere, di azioni portate a termine. Rendere l’attività di Governo un libro che sia il più aperto possibile, magari con qualche affondo a temi di cui altri (Futuro e Libertà) si sono autoproclamati paladini: anche per questo, in occasione del discorso di Ferragosto (quest’anno a Palermo e non a Roma) Berlusconi parlerà per lo più dei successi del governo nella lotta alla mafia e si avvarrà del contributo del ministro degli Interni, Roberto Maroni, e del Guardasigilli Alfano.

Tre motivi per andare a votare, sosteneva Berlusconi: esistono però anche incognite di similare importanza che spingono parte del PdL a fare passi piccoli e ragionati a lungo: