Crac finanziari: Finmek, Giacomelli e i fallimenti di serie B

A chi credeva che con il fallimento di Parmalat e del sistema argentino fossero finiti i guai economici in calce ai piccoli risparmiatori. Due nomi pescati a mano aperta:

Finmek. Giacomelli.

Anche in questo caso, la prevenzione è la migliore delle cure. Anche se, quando si tratta di soldi, l’argomento diventa un vero e proprio campo minato. I grandi crac finanziari dell’ultimo decennio sono stati aiutati e corroborati dall’inesperienza italiana in fatto di conoscenza sul settore degli investimenti.

E così bancari, brokers, impiegati più o meno incentivati dalle case madri sono diventati (anche se a volte loro malgrado) aguzzini di persone che tutto avrebbero voluto, fuorché essere depredati dei loro risparmi. Sono i consumatori finali, quindi, l’anello debole della catena: proprio coloro che avevano affidato, nel senso più ampio del termine, il proprio futuro nelle mani di moderni Giano bifronte che ne hanno fatto sparire i soldi molto meglio dei più grandi manipolatori. Prestigiatori.

Di contro, esistono anche quelli che per rimanere al verde non hanno avuto bisogno di entrare nei default argentini o nel crollo della Parmalat. L’inchiesta apparsa sul quotidiano La Repubblica apre infatti uno scenario molto più ampio.

Quello dei cosiddetti “fallimenti di serie B”, effettuati in scenari minori da aziende più piccole, e per questo ancora più nocivi perché vi è presente il forte rischio che dei soldi investiti non rientri in tasca nemmeno un centesimo.

Già, a conti fatti i bond argentini e quelli del colosso di Collecchio sono stati in grado di ritornare i rimborsi maggiori tra quelli in via di soluzione. Buenos Aires ha già garantito almeno un terzo del capitale, mentre la società della famiglia Tanzi si è stanziata sul 40%, grazie anche agli utili sui dividendi dei marchi del gruppo. Poi – si collocano giusto dietro – i fratellini più piccoli, Finmek e Giacomelli in primis, che stanno invece costringendo i creditori a vie crucis interminabili sulle strade dei palazzi di giustizia.

C’è chi ci ha investito la liquidazione e adesso viene a sapere che la prima udienza avverrà tra sette o più anni; c’è chi si è perso nei meandri delle cause comuni, lunghe ed imprevedibili; e chi in quelli delle cause individuale, dispendiose e per nulla redditizie. Il rimedio esiste? Sì, tanto quanto il virus. E’ la posologia delle medicine, allora, ad allungare i tempi della riabilitazione, che tra l’altro non sarà mai completa. E bisognerà accontentarsi, nei casi migliori, di un quarto o un terzo dei propri averi. Con la consapevolezza di dover accettare gli errori propri e quelli di ha consigliato l’investimento.

In questi casi viene spesso rievocata la via tortuosa della Class Action, ma i cittadini europei non hanno mai saputo usare appieno questo strumento (che invece dall’altra parte dell’oceano ha fatto le fortune un po’ di tutti, da Erin Brockovich in poi) rimanendo legati a sterili procedure giudiziarie tradizionali.

La media di recupero per i piccoli risparmiatori è del 26% ma, come in uno strano numero di stregoneria, adesso sono le stesse aziende coinvolte nei vari crac a venire incontro alle parti lese organizzando meeting con tutti i soggetti interessati con il solo scopo di evitare guai peggiori decretati dalle aule di giustizie. Con questo sistema i casi di più immediata risoluzione stanno volgendo verso la fine, ma ottenere il massimo è praticamente impossibile anche in situazioni di accordo diretto sul singolo caso.

Le aziende per recuperare questi soldi cedono azioni, patrimoni immobiliari e partecipazioni in altre società, ma per chi non dispone di liquidità o di qualcosa da vendere, il percorso si complica ulteriormente. Così è stato per l’affaire Giacomelli, così lo è per tanti altri fallimenti minori. Col senno di poi, si potrebbe pensare che si stava meglio quando si stava peggio (all’epoca della Lira infatti bond ed azioni davano rendimenti altissimi) ma adesso agli investitori non può rimanere che leccarsi le ferite. La carta fredda, questo lo si sa bene, spesso taglia più di una lama. Se poi la fredda carta diventa anche senza valore, fa ancora più male.

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