Giornalismo, mea culpa necessario

La dimensione critica è assente. E’ bruciante la frase: Perché potevano aprire su di un altro grande tema, per esempio la macchina indietro (ma aspetto di leggere il testo per un giudizio più compiuto) del governo con il decreto legge sull’Università, oppure su di un altro grande tema, o (non sia mai!) con un’inchiesta originale. Già trent’anni fa, Indro Montanelli scriveva che il giornalismo italiano è servo per abitudine.

Fascist legacy (repetita iuvant)

Il seguente documentario, firmato BBC, è invero un pò datato (1989). Eppure noi, gli italiani, non lo abbiamo mai potuto vedere. D’altro canto nel nostro bel paese – come dimostrano le recenti dichiarazioni di eminenti politici prima e di illustri sconosciuti poi – a quanto pare non è mai troppo importato di capire che cosa abbia provocato il regime fascista. E il perchè, anche chi non ha combattuto sull’appennino tosco emiliano per evidenti ragioni anagrafiche in quei tragici anni, desidera dichiararsi fermamente antifascista.
Mica come Marcello Dell’Utri che alla storia della Resistenza vorrebbe dare una mano di vernice nera. Nè tantomeno come il nostro caro premier, che dice addirittura di non avere il tempo di rispondere alla domanda se anche lui si ispiri ai valori dell’antifascismo che, per inciso, sono quelli della Costituzione. E a forza di non avere tempo per pensarci, alle cose, ecco che ti ritrovi con la xenofobia assassina fuori dall’uscio di casa.
Tutti ci hanno messo bocca dicevamo, sulla polemica che da settimane coinvolge nostalgici, vecchi fasci ed illuminati reggenti delle nomenklature di centro destra. La spaccatura ci sembra tanto evidente quanto ingombrante. Non crediamo che il lavoro della BBC sia da solo in grado di chiarire le idee a chi evidentemente ha mostrato di averne poche e confuse, ma ugualmente ci auguriamo che possa trovare una sempre più larga diffusione allo scopo di veicolare quella che a noi, modestamente, appare una verità incontrovertibile: gli orrori del fascismo. Si aggiunga che il programma era stato comprato all’epoca da mamma Rai, che aveva deciso però di non trasmetterlo pubblicamente. La 7, nel 2004 mandò in onda alcuni stralci, poi stop, chiuso, buio. Dopo la visione delle cinque parti capirete quanto forse tutta questa prolusione sia stata addirittura inutile.
Buona visione, si fa per dire.

A qualcuno piace caldo (gli italiani e il web)

Sottotitolo: analisi semiseria delle news più cliccate in rete (fonte Corriere.it).
Metti un lunedì pomeriggio casalingo. Dopo un fine settimana di calcio dilettantistico giovanile apri internet, accendi la tivvì all’ora del tiggì, sfogli un quotidiano. In quarta pagina di un noto quotidiano a diffusione nazionale, il ministro per la semplificazione Roberto Calderoli semplifica da par suo:

Piuttosto che reintrodurre l’Ici mi brucio davanti al Quirinale

Previa poi specificare che sarà la nuova service tax a sopperire ai deficit di bilancio patiti dalle amministrazioni locali dopo la dipartita dell’Ici sulla prima casa. Decidi allora di passare al tubo catodico, seppur controvoglia, e il dito cade inopportunamente su rete 4.
Per intenderci, un canale irregolare, illegale, insomma clandestino, ma a piede libero. E se ti sfugge il perchè sia ancora a spasso sull’analogico – nonostante le sentenze di svariati tribunali in Italia e non solo – non potrai restare indifferente di fronte alle accuse di partigianeria rivolte al suo padre-padrone Emilio Fede. Ipse dixit, tra un servizio contro Prodi e uno contro Veltroni

D’altro canto la situazione di grave crisi in cui versano le famiglie italiane, sempre più in difficoltà ad arrivare alla fine del mese, è chiaramente dovuta al governo precedente, il governo Prodi, che ha messo in ginocchio gli italiani

Ok, chiudiamo anche la televisione. Ed apriamo internet. Leggiamo la posta, l’ennesima catena di S.Antonio che – a differenza di tutte le altre catene di S.Antonio – stavolta garantisce soldi, sesso, fama, scudetto all’Inter per i prossimi dieci anni, miracoloso allungamento del pene di svariati centimetri e, dulcis in fundo, cinque più uno al superenalotto. Passiamo dunque ai siti informativi. E ci imbattiamo nella classifica dei PIU’ LETTI. E qui si scherza molto poco. Gli italiani, si sa, vanno matti per le classifiche. Il perchè è materia di studio di sociologi e antropologi e noi non vorremmo mai sovrapporci ai loro immani sforzi, ma lo specchio delle dieci più lette del sito più cliccato d’Italia ci offre qualche spunto di riflessione.

Il paese che purtroppo amo

Questo articolo è apparso su Die Zeit, quotidiano tedesco, il 17 luglio 2008, a firma dell’inviata in Italia, Petra Reski.
Quell’estate, in cui mi sono innamorata degli italiani, sulle spiagge si raccontava delle frodi di Bettino Craxi, e io pensavo: strano paese, dove anche i bagnini sanno come imbroglia il leader socialista! Era l’estate del 1989, io ero distesa sulla sdraio e ascoltavo il bagnino, che senza alcuna remora parlava del sistema del finanziamento illecito ai partiti socialista e democristiano, degli abusi d’ufficio e delle tangenti, delle infiltrazioni e omicidi mafiosi come se si trattasse del prossimo torneo di bocce sulla spiaggia.
Nello stesso anno mi recai in Sicilia per la prima volta come giornalista. Lì ho conosciuto il funzionario di polizia che ha fatto luce sulla Pizza Connection, traffico di eroina tra la Sicilia e il Nord America. Era protetto da due guardie del corpo e circolava su una berlina blindata, e mi ricordo ancora cosa pensai: Che strano paese! Qui, le forze di polizia devono essere protette!

Prendetevi le nostre impronte

Mentre il paese è distratto, come sempre, dalle imprese del cavaliere in tema di giustizia (Ma và!), è cominciato il censimento della popolazione rom in Italia. E si registrano i primi “ammutinamenti”.
Uno, e solo per esempio, è quello del prefetto di Roma – dico Roma – Carlo Mosca, che ha escluso dalle misure operative quella della raccolta delle impronte digitali. Lo stesso dicasi per Milano, dove per i primi campi censiti non è ancora stata messa in atto la schedatura dei dermatoglifi (se volete fare bella figura con gli amici…). Ecco, l’atteggiamento dei prefetti di Roma e Milano la dice lunga sulla popolarità della scelta operata dal ministero dell’Interno, Roberto Maroni, di includere questa misura nelle operazioni di censimento, e di farlo anche per i minori (orrore!).
Come se non bastasse, ieri abbiamo assistito, nel corso di alcuni telegiornali, al censimento di alcuni campi nomadi di Napoli. La sorpresa è stata grande nel vedere il “papello” con i dati necessari all’identificazione. Accanto alle classiche generalità e allo spazio dedicato alle impronte, leggiamo la voce “religione” (orrore!). A spiegare in modo inequivocabile il perchè di questi orrori, qualora ce ne fosse bisogno, ci pensa con efficacia e lucidità il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo.

Berlusconi, da Caimano a Leviathan (Franco Cordero inside)

Pubblichiamo oggi integralmente un articolo apparso su la Repubblica del 19 giugno scorso, a firma Franco Cordero. Il celebre autore del più diffuso manuale italiano di procedura penale, professore emerito dal 2003 è spesso ricordato per l’accostamento proposto in un editoriale sullo stesso quotidiano fondato da Eugenio Scalfari alcuni anni fa in cui Silvio Berlusconi veniva paragonato ad un caimano. Ricordate tutti vero? Anche stavolta Cordero pone al centro delle sue riflessioni il Caimano, per un articolo che è un pò un aggiornamento sullo stato dell’arte di quello che lo stesso professore aveva ipotizzato anni prima.
Nel dialetto subalpino circolava una metafora romanesque: “l’hanno cambiato a balia”; forse lo dicono ancora d’uno che improvvisamente risulti diverso (i dialetti e relativa sapienza vanno estinguendosi); l’ubriacone diventa asceta, il codardo compie gesta eroiche et similia. Stanno nel fisiologico le metamorfosi lente operate da lunghi esercizi (Freud le chiama forme reattive, Reaktionsbildungen).
Qui è innaturalmente fulminea. Tale appariva la conversione del Caimano in homme d’Etat pensoso, equanime, altruista. Impossibile, natura non facit saltus. Nessuno cambia d’un colpo a 72 anni, tanto meno l’egomane insofferente delle regole (etica, legalità, grammatica, buon gusto), specie quando sia talmente ricco in soldi e voti da mettersele sotto i piedi.
Era molto chiaro dall’emendamento pro Rete4, in barba alla disciplina della concorrenza, ma i cultori del cosiddetto dialogo perdonano tutto o quasi. Nell’aria del solstizio, lunedì sera 16 giugno, Leviathan (nome biblico del coccodrillo archetipico) batte due colpi.
Partiamo dall’arcinoto retroscena.

Dal Molin? No grazie (sentenza inside)

Il Tar emette la sospensiva sul progetto Dal Molin, accogliendo il ricorso di Codacons e Coordinamento Comitati e decretando di fatto lo stop ai lavori e mettendo fine all’arroganza di chi avrebbe voluto imporre la nuova base Usa a Vicenza senza democrazia e senza una valutazione dell’impatto ambientale.
Ecco chi ha commesso le illegalità: gli statunitensi, il cui bando di gara per l’assegnazione dell’appalto è irregolare; Governo italiano, il cui consenso è definito dal tribunale amministrativo “extra ordinem”; Regione Veneto, sulla cui Vinca (Valutazione d’impatto ambientale) i giudici hanno quantomeno delle perplessità.

Il buco di Roma

Ma il buco c’è o non c’è? Il debito di Prodi c’era o non c’era? Da una settimana è balzato a copertura mediatica – sui dorsi locali de Il Messaggero e dei quotidiani nazionali, per poi passare al nazionale nel giro di pochi istanti. Roma è tappezzata da manifesti de Il Popolo della Libertà – Berlusconi per Alemanno, che recitano:

Veltroni ha lasciato un buco stratosfereico nel bilancio del Comune. Noi lo risolveremo

Il punto? Partiamo da un paio di considerazioni. Il buco c’è, è in corso l’avvio di un’indagine della magistratura. Il buco c’è, è pesante – il Comune di Roma è praticamente fallito – anche se le ricostruzioni dello stesso sono, naturalmente, assai diversi a seconda del punto di vista dal quale si guardi il subddetto benedetto buco di bilancio.
Ricordo nitidamente. Immediatamente post-elezioni, vinte da Gianni Alemanno, il neo-sindaco, finalmente ospite a Viva Radio 2, con Fiorello e Baldini, in verità dall’alto di un apprezzabile umorismo, aveva aggiunto a mozzichi e bocconi che stava verificando la presenza di un possibile ebuco nel bilancio del Comune.
Lo si sa da allora, lo si sa da sempre. Ma prima, forse, un tacito patto di apparente strumentale armonia delle parti – quella grandissima presa in giro che il Veltrusconi ha chiamato dialogo – prevedeva in agenda un’uscita del BUCO assai più soft di quella poi avvenuta.

Lunedì 23 giugno 2008. Tutti davanti al palazzo di giustizia di Milano

Rompiamo gli indugi. Il nuovo assalto di Silvio Berlusconi ai principi di legalità e alla giustizia non può vederci testimoni immobili e dunque complici. Ancora una volta il potere politico viene usato per tutelare posizioni processuali personali, senza alcuno scrupolo né verso i principi costituzionali né verso gli effetti che si producono a cascata sull’amministrazione della giustizia, sulla sicurezza e sulla libertà d’informazione. Le scelte accomodanti dell’opposizione si stanno rivelando semplicemente sciagurate. L’idea che l’acquiescenza verso Berlusconi sia segno di maggiore consapevolezza e maturità politica sta portando il Paese alla deriva, privandolo di una voce coerentemente risoluta nella difesa della Costituzione e della decenza repubblicana in parlamento.

Il testo integrale della lettera di Berlusconi a Senato Schifani (satira inside)

Quando il buon Beppe Grillo si dedica alla satira politica non ce n’è per nessuno. Copio e incollo, sic et simpliciter.
Caro Presidente,
come Le è noto stamane i relatori senatori Berselli e Vizzini, hanno presentato al cosiddetto ‘decreto sicurezza’ un emendamento volto a stabilire criteri di priorità per la trattazione dei processi più urgenti e che destano particolare allarme sociale. Le voglio sottolineare che i processi che mi riguardano non sono né urgenti, né destano alcun allarme sociale. Se così fosse i cittadini italiani non mi avrebbero eletto, altrimenti sarebbero dei fessi come in effetti sono. In tale emendamento si statuisce la assoluta necessità di offrire priorità di trattazione da parte dell’Autorità Giudiziaria ai reati più recenti anche in relazione alle modifiche operate in tema di giudizio direttissimo e di giudizio immediato. La materia mi è ampiamente nota e ha mia approvazione disinteressata, lo posso testimoniare da prescritto a conoscenza dei fatti.
Questa sospensione di un anno consentirà alla magistratura di occuparsi dei reati più urgenti e non di quelli che riguardano la mia alta carica e nel frattempo al governo e al Parlamento di porre in essere le riforme strutturali necessarie per imprimere una effettiva accelerazione dei processi penali, pur nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali, eliminando la cronaca giudiziaria, incarcerando i giornalisti e, come extrema ratio per l’imputato, nel caso si tratti di Silvio Berlusconi, di ricusare i giudici.
I miei legali, che ho fatto eleggere per la mia necessaria protezione in Parlamento, mi hanno informato che tale previsione normativa sarebbe applicabile ad uno fra i molti fantasiosi processi (lo giuro sui miei figli, sono sempre stato all’oscuro dell’esistenza di questo Mills) che magistrati di estrema sinistra hanno intentato contro di me per fini di lotta politica. Lo dico a lei, in privato, sono i soliti comunisti di merda. Ho quindi preso visione della situazione processuale ed ho potuto constatare che si tratta dell’ennesimo stupefacente tentativo di un sostituto procuratore milanese di utilizzare la giustizia a fini mediatici e politici, in ciò supportato da un Tribunale anch’esso politicizzato e supinamente adagiato sulla tesi accusatoria. Sono innocente, Craxi è morto innocente, non sono stato iscritto alla P2, la tessera 1816 era intestata a un mio omonimo massone, piduista, golpista e puttaniere.

Gomorra, il giorno del giudizio

Una doppia paginata su la Repubblica di ieri, a firma Roberto Saviano, descrive mirabilmente le fasi conclusive di quello che può essere considerato il più importante processo di mafia dai tempi del MAXI di Palermo,oltre 20 anni fa. Ed è, oltre che un lucido pezzo di cronaca giudiziaria, anche e soprattutto una “chiamata alle armi” per la società civile. Con una speranza ed un monito: che cresca sempre più la consapevolezza della gente affinchè non finisca, ancora una volta, tutto nell’oblio.
SPARTACUS è il nome del processo che domani o dopodomani giungerà all’inizio della fine. Si chiuderà la prima parte, verranno lette le prime sentenze di secondo grado. 31 imputati, per sedici dei quali è stato chiesto l’ergastolo, il processo di mafia più importante degli ultimi vent’anni. Spartacus: il nome non è stato scelto a caso. È un omaggio a Spartaco, il gladiatore tracio che nel 73 avanti Cristo insorse contro Roma. Partendo dalla scuola gladiatoria di Capua con un pugno di uomini, riuscii a raccogliere schiavi, liberti, gladiatori d’ogni parte del meridione.
Che un processo prenda il nome di un ribelle, di uno schiavo fuorilegge che sfidò Roma – la culla del diritto – è qualcosa di unico per la storia della giustizia. Questo processo è stato chiamato Spartacus con l’idea che il diritto potesse liberare queste terre schiave dal potere dei clan e dell’imprenditoria criminale. Con il sogno che un processo potesse innescare la sollevazione di un territorio, credendo che la vera rivoluzione qui consista nella possibilità di agire legalmente: senza sotterfugi, alleanze, raccomandazioni, appalti truccati e aziende dopate dal mercato illegale.
Spartacus è il risultato di una enorme indagine condotta dal 1993 al 1998 dalla Procura Antimafia di Napoli, ossia dai Pm Federico Cafiero De Raho, Lucio Di Pietro, Francesco Greco, Carlo Visconti, Francesco Curcio e poi Raffaele Cantone, Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio e Raffaello Falcone. E mentre molta parte l’Italia e d’Europa continuerà a pensare che si sta celebrando un processo contro una banda criminale, l’ennesima del sud Italia, in realtà le carte processuali, le audizioni, i più di mille imputati nelle gabbie, parlano di un potere enorme che va considerato una delle avanguardie dell’economia di questo paese.

Il memoriale di Vincenzo Calcara (parte V)

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Ricordo quando mi trovai nella cella di isolamento al carcere di Favignana, quando dopo una lunga introspezione ed una analisi di tutto ciò che era stata la mia vita ho capito che la mafia mi aveva usato, educandomi a valori sbagliati, ipocriti e violenti che avevano messo in pericolo la mia vita. In quei momenti mi veniva in mente il Dr. Borsellino, il Giudice che avrei dovuto uccidere per eliminare uno dei maggiori ostacoli al domino mafioso.
Il mio non è stato solo un pentimento giudiziario ma anche un pentimento interiore, morale, che metteva in ballo tutti quei valori e insegnamenti mafiosi che avevano mostrato tutta la loro debolezza davanti al nobile coraggio del Dr. Borsellino di cui condividevo lo stesso destino di morte deciso dai capi mafiosi e da quelle entità racchiuse in una grande e potente forza del male.
Quando ho incontrato il Dr. Borsellino ho capito che c’era qualcosa che ci univa e che questa cosa non era solo il nostro legame tanto diverso con quella forza del male di cui io facevo parte ma qualcosa di ancora più oscuro e ineluttabile e cioè l’oscura immensità della morte! Sapevamo entrambi che saremmo morti e questo ci ha reso ancora più vicini. Tutte le volte che lo incontravo rimanevo veramente colpito dal suo sorriso disarmante, da quella luce nello sguardo di chi è fedele a se stesso ed alle regole fino in fondo, ma anche dalla sua bontà, degna solo dei più devoti cristiani.

8 anni per scrivere le motivazioni di una sentenza. Troppo lento

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Ansa – Roma 16 giugno 2008 – Non può più fare il magistrato Edi Pinatto, il giudice che ha impiegato otto anni per scrivere le motivazioni della sentenza con la quale il tribunale di Gela aveva condannato sette componenti del clan Madonia a complessivi 90 anni di carcere, così determinando la loro scarcerazione. La sezione disciplinare del Csm con un provvedimento che ha pochi precedenti lo ha rimosso dall’ordine giudiziario. La decisione è stata presa dopo un’ora di camera di consiglio. La sezione disciplinare ha così accolto la richiesta del rappresentante dell’accusa Eduardo Scardaccione. La sentenza non è immediatamente operativa: ora dovrà essere depositata entro 30 giorni e ci saranno altri 90 giorni di tempo per impugnarla davanti alle sezioni unite civili della Cassazione.
Se la Cassazione dovesse dare ragione al Csm dunque, al giudice Pinatto non resterà che appendere la toga al chiodo.
Eppure solo due mesi fa un’altra notizia aveva rinfocolato la polemica sulla magistratura ed in particolare sulle scelte conservative dell’organo disciplinare delle toghe.

Rassegna Critica – Vengo dopo il Tiggì. Lodo Schifani e dintorni

Si torna a parlare di Lodo Schifani. Si torna? Qualcuno ci spiega? Di nuovo nell’aria, e al centro del dibattito (?) politico una norma dichiarata incostituzionale nell’ormai lontano 2004.
A volte ritornano? Una sapiente rielaborazione della stessa potrebbe tornare? Urgente il desiderio di comprendere.
Tre bambini tra i sei immigrati dispersi a largo di Malta. Un sabotaggio i rifiuti ospedalieri con tracce di radioattività . Esercito nelle strade, la norma sarà nel decreto sicurezza. Polemiche sul cosiddetto Lodo Schifani. Sentiamo cosa ci dice il Tg1 di oggi, ore 13.30, tra una vigilia di Italia-Francia e l’altra.