Cl Rimini, Marchionne: “Fiat Melfi, la dignità non è patrimonio di tre persone”

La Fiat di Melfi rischia di diventare – in senso lato la struttura, in senso stretto la vicenda dei tre operai prima licenziati e poi reintegrati – emblema di un nuovo modo di intendere più di una contrapposizione: il rapporto tra dipendente e datore di lavoro, quello tra diritti e doveri, dati di fatto e Stato di diritto. Se da un lato l’autorità giudiziaria ha ribaltato la decisione del Lingotto di licenziare il terzetto per aver addirittura sfiorato l’accusa di “sabotaggio” nei confronti dell’azienda, dall’altro arriva il pronto intervento di Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, nel corso del Meeting di Rimini organizzato da Comunione e Liberazione che si articola in una serie di riflessioni interessanti.

Dal generale al particolare, a partire dalla necessità di percepire il mondo del lavoro in maniera differente: “Fino a quando non ci lasciamo alle spalle i vecchi schemi non ci sarà mai spazio per vedere nuovi orizzonti. Quella alla quale stiamo assistendo in questi giorni è la contrapposizione tra due modelli: uno che si ostina a proteggere il passato, l’altro che guarda avanti. Non siamo più negli anni ’60 e occorre abbandonare il modello di pensiero che vede una lotta fra capitale e lavoro e fra padroni e operai“.

Fiat Melfi, Napolitano sta con gli operai: “Rispettare le regole dello Stato di diritto”

Faccia a faccia netto, senza possibilità di appello, anzi. Neppure la decisione dell’autorità giudiziaria pare essere stata in tal senso risolutrice, visto che i tre operai della Fiat di Melfi – prima licenziati poi reintegrati dal giudice – si sono comunque visti bloccare all’uscio. L’azienda era stata chiara: nonostante il contratto, che andrà rispettato, al lavoro non vi vogliamo. Invece, il trio composto da Barozzino, Lamorte e Pignatelli al lavoro si è presentato eccome. Con l’annunciata situazione per cui, al tentativo di ingresso, sono stati messi alla porta. Motivo per cui i tre, senza perdere tempo e non soddisfatti dal supporto incondizionato della Fiom, si sono rivolti direttamente al Presidente della Repubblica.

A stralci: “Ci rivolgiamo a lei, presidente, perché richiami i protagonisti di questa vicenda al rispetto delle leggi. Signor presidente, per sentirci uomini e non parassiti di questa società vogliamo guadagnarci il pane come ogni padre di famiglia e non percepire la retribuzione senza lavorare. La decisione della Fiat di non reintegrarci nel nostro posto di lavoro è una palese violazione della legge, in uno Stato di diritto non dovrebbe essere neppure consentito di dichiarare a tutti (stampa compresa) di voler disattendere un provvedimento legalmente impartito dalla autorità giudiziaria con ciò mostrando disprezzo per la Costituzione e per le leggi“.

Fiat Melfi, il Lingotto agli operai reintegrati: “Non venite al lavoro”

Non presentatevi negli stabilimenti Fiat di Melfi perchè non ci sarà alcun lavoro per nessuno di voi tre: pressappoco queste le parole utilizzate dai vertici Fiat nei confronti dei tre operai reintegrati dal giudice del lavoro dopo licenziamento per ingiusta causa.

Rispetteremo il contratto”, ribadiscono dalla casa automobilistica ma nella facolta della Fiat rientra anche la possibilità di non utilizzare il trio in alcuna mansione. Pur riconoscendo il contratto in essere. E’ bastato un telegramma – stesso contenuto per ciascuno – per scatenare l’ennesimo putiferio intorno a una vicenda che già ha fatto parlare in precedenza.

Fiat Melfi: reintegro per operai licenziati. La Fiom dichiara vittoria

Tre operai della Fiat Melfi, Potenza, sono stati reintegrati dal giudice del lavoro dopo che l’azienda li aveva prima sospesi (8 luglio) e poi licenziati (14 luglio). Ciascuno torna alle proprie mansioni dopo la dichiarazione di antisindacalità della decisione.

Si tratta di Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino (delegati Fiom) e Marco Pignatelli: al terzetto i vertici del Lingotto dislocato in Basilicata fu contestato il fatto che durante un corteo interno bloccarono un carrello robotizzato che portava materiale a operai non in sciopero. Immediata la reazione di buona parte dei colleghi e dei sindacati, che cercarono di sostenere la posizione dei tre atttraverso cortei e manifestazioni sfociati nell’occupazione simbolica del tetto della Porta Venosina, monumento ubicato nel centro storico di Melfi.