Berlusconi a processo: i suoi parlamentari lo difendono

Erano in 150 i parlamentari accorsi dinanzi al Palazzo di Giustizia di Milano per “difendere” Silvio Berlusconi mentre era all’ospedale San Raffaele alle prese con una nuova visita fiscale che i magistrati del caso Ruby hanno richiesto per accertare le reali condizioni di salute e la veridicità del presunto legittimo impedimento. Una vicenda che – secondo i parlamentari – manifesterebbe un vero e proprio accanimento nei confronti dell’ex premier.

L’onorevole Carlucci e la sua portaborse Celestina


La notizia ha già fatto il giro della Rete, perché gustosa. Avrà fatto sorridere i più, gongolare molti, indignare altrettanti, gridare alla congiura alcuni. Anche perché tutti ricordiamo il video di cui sopra. E oggi Gabriella Carlucci viene battuta in tribunale, dove vince la sua ex portaborse. Portaborse che non sarà certo molto amata. E che o ha avuto coraggio, o ha avuto appoggio.

Gabriella Carlucci, onorevole parlamentare del Pdl, dovrà dare alla sua ex portaborse 10170,39. Già, perché Celestina – i giornali, oggi, la chiamano così, col suo nome di battesimo – ex collaboratrice della nota conduttrice (nonché parlamentare) ha denunciato il proprio datore di lavoro (la suddetta parlamentare) per aver lavorato in nero (in nero, sì, come tanti di noi, tanti che leggono, tanti, troppi in Italia) dal luglio del 2004 al giugno del 2006.

Giudice anti-lesbiche,la Spagna cattolica si solleva

Donne sull’orlo di una crisi di nervi e giudici omofobi. Qui la notizia.

Fernando Ferrín Calamita è stato sospeso perché si è opposto a un’adozione di una coppia di donne: due anni, tre mesi e un giorno di esilio dall’ufficio, alla sezione Diritto di famiglia del tribunale di Murcia, e stipendio ridotto al minimo contrattuale, 1.700 euro al mese (un italiano farebbe i salti di gioia di fronte a simile cifra), fino a giugno 2010. Ha sette figli. Secondo il Tribunale, per un’autentica pulsione omofoba il giudice avrebbe rallentato la pratica di adozione di una bambina da parte di due lesbiche.

Solo che la coppia è regolarmente sposata – secondo le nuove leggi spagnole – e una delle due donne è la madre naturale di Candela. L’avvocato della coppia ha avuto gioco facile a fronte delle argomentazioni – basate sulle sole opinioni personali del magistrato – ad impugnare le carte, dare una svolta all’adozione e far giudicare il Giudice. Che ha già molti fan: www.juezcalamita.com ha raccolto in pochissimo tempo 16 mila euro per il ricorso: il giudice “anti-lesbiche” è diventato immediatamente l’eroe di tutta la Spagna cattolica.

Arriverà anche la Santa Sede in soccorso?

Lavorare con lentezza, ovvero otto anni per scrivere una sentenza

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Non c’è fretta.
In imbarazzante sintonia con la motivazione stessa che lo aveva portato a pronunciarsi sull’operato dell’allora giudice di Gela, Edy Pinatto, il Consiglio Superiore delle Magistratura ha optato per la linea attendista. I fatti.
La sezione disciplinare del CSM ha bocciato la richiesta di un provvedimento nei confronti del giudice Pinatto, reo di avere consentito – con i ritardi nella redazione delle motivazioni della sentenza di condanna a carico degli imputati – la scarcerazione di alcuni esponenti del clan Madonia, tornati qualche settimana fa a passeggiare liberamente per le strade di Gela.

Il Garante bacchetta Santoro

Santoro
Processo alla televisione. Oggi i media ritornano prepotentemente agli onori delle cronache. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha intrapreso ieri azioni ben precise, oggi riportate all’opinione pubblica dal suo Presidente, Corrado Calabrò.
Il Garante è stato chiaro: basta con i processi in televisione. I processi siano circoscritti nelle aule di tribunale. Il che significa un bel richiamo alla Rai per il programma di Santoro, Annozero, dove sarebbe stato violato il pluralismo.
Calabrò è stato molto diretto: In Tv il processo, lo pseudo processo o la mimesi del processo non si possono fare. L’informazione deve essere equilibrata, obiettiva e deve garantire il contraddittorio senza anticipare giudizi su questioni ancora subiudice.

Erba, la nuova Cogne mediatica

porta a porta
Uno strappo ed una concessione alla cronaca, per una serie di considerazioni. Parte domani il processo per la strage di Erba, e tutto è già pronto.
L’unico elemento non certo è la presenza o meno, in aula, in aula di Rosi Bazzi e Olindo Romano. La Corte d’assise di Como ha fissato 16 udienze, da domani a metà marzo, due ogni settimana. Si tenta di avere, per una volta, una sentenza in tempi brevi.
Al di là del fatto di cronaca, di un’efferatezza e dalle peculiarità particolari, quello che colpisce sono i numeri. Il Tribunale ha organizzato gli ingressi: 40 posti in aula per i giornalisti, 30 per il pubblico, uno stanzone poco distante adibito a sala stampa con annesso maxischermo per seguire la diretta del dibattimento.

5 anni a Cuffaro. Esclusa l’aggravante mafia

Mafia
Grida di vittoria, sospiri di sollievo. Il presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro, è stato condannato a 5 anni nel processo per le ‘talpe’ alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Ed è contento. Baci, abbracci, sorrisi. E soprattutto la decisione di restare al suo posto. Questo Paese continua ad essere così bizzarro.
La terza sezione penale del Tribunale, presieduta da Vittorio Alcamo, … condanna Cuffaro Salvatore alla pena di anni 5 di reclusione. Visti gli articoli 28, 29, 31 e 32 del Codice Penale dichiara Aiello Michele, Riolo Giorgio e Cuffaro Salvatore interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l’espiazione della pena. Quello che però fa tanto gioire il suddetto Cuffaro è l’esclusione, da parte del Tribunale, dell’aggravante di aver favorito la mafia. Cuffaro, come scritto, è stato interdetto dai pubblici uffici.
Uno dei capi d’accusa imputati a Salvatore Cuffaro, dunque, al processo per le ‘talpe’ alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, era: favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto. I Pubblici Ministeri avevano chiesto per lui un periodo di reclusione di 8 anni.

Arche de Zoè Affaire. Rientrano a Parigi i sei francesi condannati ai lavori forzati in Ciad

 Arche

Sono rientrati ieri in Francia i sei cittadini francesi, membri dell’organizzazione non governativa ”L’Arche de Zoe” , accusati di avere cercato di portare in Francia 103 bambini, affermando che si trattava di orfani del Darfur. Si è poi appurato che in realtàb provengono in larga partedal Ciad e che hanno almeno ancora un genitore in vita. Gli imputati devono rispondere anche di falsa testimonianza e falso in atto pubblico.