Ruanda: Finalmente Colpevoli!

Una delle cose che maggiormente mi irrita quando osservo l’andamento delle “faccende” internazionali, è che il più delle volte, specie quando ci si ritrova in mezzo non solo a un conflitto a due, ma con delle parti in causa esterne quali ad esempio possono essere l’ONU o chi per loro, la velocità con cui si fanno le cose diviene incredibilmente burocratica e lenta; macchinosa verrebbe da dire. Fortunatamente però la giustizia terrena ancora funziona e anche se con quasi 14 anni di ritardo arrivano delle condanne pesanti come macigni.


Contestualizziamo la situazione che, anche per me, è difficile da ricordare (considerando il fatto che io, 14 anni fa, ne avevo solo 12). Eppure nonostante questo la condanna all’ergastolo del tenente Theoneste Bagosora, degli alti ufficiali Aloys Ntabakuze e Anatole Nsengiyumva, sono un segnale importante soprattutto per chi, ancora oggi, cerca di amministrare il proprio potere perpetuando la violenza.

Così fu in quel tragico 1994 in Ruanda quando 800mila persone di etnia tutsi e hutu moderata vennero uccise nel giro di un centinaio di giorni. Numeri da fare impressione, specie se si cercano di contestualizzare con qualcosa che noi italiani possiamo vedere tutti i giorni. Quasi l’intera città di Milano sterminata nel giro di 3 mesi. A destare ancora più impressione, allora, non fu tanto la modalità quanto invece la risposta dell’ONU a quel fatto.

Niente. Dopo i fallimenti in Somalia che avevano anticipato il genocidio ruandese, l’ONU inizierà quella politica di “neutralità” che ai miei occhi invece sarebbe più giusto definire alla “Ponzio Pilato”: Io non mi sporco le mani, lasciamo che siano gli altri a fare il resto. Una politica di puro menefreghismo che è costata la vita a poveri innocenti, colpevoli solo di essere nati di un’etnia “sbagliata”.

Per loro, che oggi sono numeri ma che allora erano corpi, anime e nomi, la giustizia dopo 14 anni ha dato una risposta: sì, avete perso la vita a causa di Bagosora, a causa di Ntabakuze, a causa di Nsengiyumva. Una risposta che però lascia l’amaro in bocca: da 14 anni quelle 800mila persone non ci sono più, mentre invece loro tre, uomini che la vita ha voluto ancora presenti ai giorni nostri, possono ancora ridere, respirare, mangiare, dormire e lo faranno ancora più tranquilli ora che saranno condannati all’ergastolo.

Non si deve punire la morte con la morte, ma mi piacerebbe fare una proposta: concediamo a 800mila ruandesi di etnia tutsi di dare uno schiaffo ad ognuno dei tre neo-ergastolani. Un piccolo dolore che sommato, però, non sarà mai forte come la perdita della propria vita.

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