Mafie. Un voto. Un fiorino. Da 50 euro. Omaggio a Saviano


Saviano


Roberto Saviano, autore di Gomorra,viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra ha scritto un lungo, agghiacciante articolo sul settimanale Time. Lo riporta oggi, in versione integrale, Repubblica.it. Ennesima denuncia terribile. Sulle economie criminali, sulle mafie, ma soprattutto su queste elezioni.


Torbide, definirle torbide ad una lettura appena oltre la superficie è ormai atto dovuto. Giochi di partito, retorica galoppante. Inutilità del contenuto del messaggio politico. Fascisti, veline, Grande Fratello, Chiesa, corruzione, indagati, condannati. Come ha fatto l’Italia ad arrivare a tanto?


C’è veramente tutto. All’appello non manca nulla. Roberto Saviano ha sempre un’espressione seria. Corrucciata. Classe 1979, è giovanissimo. Nella sua pagina su Wikipedia – dove, stranamente, c’è una foto in cui sorride – la scheda comincia con due frasi.

Io so e ho le prove. E quindi racconto.

Scrive in Gomorra. E un’altra, di Enzo Biagi, in un’intervista a Rotocalco televisivo, su Rai Tre.

Il pericolo non nasce da chi pesca, trova, una nuova notizia, il pericolo nasce da chi la riesce a far passare, da chi rompe la crosta degli addetti ai lavori, da chi in qualche modo riesce a far veicolare dei messaggi, dei racconti Di queste verità

Gliene hanno tirata un’altra, a Roberto Saviano. Lo scrittore vive sotto scorta dal 13 ottobre 2006. In giudiziario contesto. L’avvocato di due boss del clan dei Casalesi ha chiesto la remissione del processo. Giustificandola col fatto che gli articoli di Saviano, insieme a quelli di un’altra giornalista de Il Mattino, creerebbero una situazione tale da condizionare il procedimento.


I boss in questione, quelli che, come dire, preferirebbero il trasferimento nella Capitale, sono Francesco Bidognetti, detto Cicciotto di Mezzanotte, detenuto da alcuni anni, e il latitante Antonio Iovine.


Il magistrato, la giornalista e lo scrittore sono stati tutti, recentemente (e non solo), oggetto di chiare minacce camorristiche. Le accuse sono state rivolte anche all’ex pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Raffaele Cantone. Ora Saviano, cui, mi si conceda, non mancano le palle, scrive e attacca queste elezioni 2008. Votazioni in democrazia? Espressione del popolo? Libera scelta in libero Stato? No. Al di là di ogni nefanda analisi.


NESSUNO vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora tutti sembrano ignorare una questione fondamentale che si chiama “organizzazioni criminali” e ancor più “economia criminale”. Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l’equivalente di cinque manovre finanziarie. Il titolo “La mafia s. p. a. è la più grande impresa italiana” fece il giro di tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha parlato ancora.

Scrive Saviano al Time.

E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.

A parole, quello che tutti sanno ma non dicono.

Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro.

Sempre più pesante.

Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c’è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un’arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino l’emigrazione verso l’estero.


Il voto di scambio lo abbiamo visto tutti. Soprattutto chi proviene dal sud. Quando catalogabile come corruzione blanda, si limita al favore e alla generica riconoscenza e promessa che verrà declinata in caso di necessità – ma che, all’uopo, puntualmente viene disattesa. Ma Saviano ha visto molto, molto di più.

Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato

L’Italia è in crisi, e in fondo anche il voto e il suo valore soffrono della svalutazione. Saviano quantifica:

Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro. Quasi come al tempo di Achille Lauro, l’imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina. Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell’arco di una campagna elettorale

Voto di scambio e mafia.

E’ una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal ’92 a oggi, le organizzazioni hanno ucciso più di 3.100 persone? Più che a Beirut? Se vuole essere davvero nuovo, il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non scenda a compromessi per paura di perdere

Uolter, l’invito è diretto, pesante, decisivo, coraggioso. Uolter, lo sanno tutti che anche questo verrà disatteso. Vorrebbe dire cambiare davvero. Altro che Yes We can.

Il governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l’inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti all’opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella gestione dell’emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione rappresenta solo l’esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo scacco


Ce n’è anche per l’uomo di Arcore. Non potrebbe essere altrimenti.

Il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a scagionarlo dall’accusa di essere lui stesso un mafioso vero e proprio

Ve li ricordate i cannoli, no? Guai a dimenticarli.


E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all’Italia ferita dalle stragi di mafia: “Questo popolo… talmente attaccato alla vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte… Mi rivolgo ai responsabili… Un giorno verrà il giudizio di Dio”. Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze

È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa

Questione di sopravvivenza, insomma. E poi un sospiro di sollievo.

Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore

E meno male.

Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro

E meno male. Altrimenti chi lo verrebbe più a raccontare all’Italia assopita. L’ultima frase dell’articolo dà la cifra dell’arretratezza italiana. A occhio e croce, di almeno due secoli.

Nel 1793 la Costituzione francese aveva previsto il diritto all’insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il diritto alla non sopportazione. A non svendere il proprio voto. A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce pagata per qualche mese

E magari. Di non averne neppure disperatamente bisogno.

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